Brevi note sulla rinuncia alla protezione internazionale.
La scarna cornice normativa della dichiarazione di rinuncia alla protezione
Tra i punti meno disciplinati dalla normativa sulla protezione internazionale figura senza dubbio quello relativo alla rinuncia allo status di protetto internazionale, sia riguardo al procedimento in sé di rinuncia, sia riguardo ai suoi effetti giuridici indiretti, quelli cioè ulteriori rispetto all’effetto primo, costituito evidentemente dalla perdita ex nunc dello status di protetto 1.
Il d.lgs 28 gennaio 2008, n. 25, si limita a disporre, all’art. 34, che “la rinuncia espressa allo status di rifugiato o di soggetto ammesso alla protezione sussidiaria determina la decadenza dal medesimo status”.
La norma recepiva l’art. 38 della direttiva del 01/12/2005 – n. 85, ora rifusa – senza particolari conseguenze sul punto in esame per il diritto interno – nella direttiva del 26/06/2013 – n. 32, che all’art. 45, par. 4, autorizza (ma non obbliga) gli Stati membri, in caso di rinuncia espressa, a prevedere la decadenza in via automatica dallo status di protezione internazionale per effetto diretto della legge, senza cioè che per il costituirsi di tale effetto sia necessario l’avvio di un procedimento che abbia come presupposto l’atto di rinuncia .
Di primo acchito parrebbe pertanto coerente con la riferita normativa il modulo di dichiarazione di rinuncia alla protezione internazionale scaricabile dal sito della Polizia di Stato (rinuncia-prot-internaz.pdf” target=”_blank”>https://questure.poliziadistato.it/statics/49/rinuncia-prot-internaz.pdf).
Sulla motivazione della dichiarazione nel modulo predisposto
Il modulo contiene però alcuni spazi il cui riempimento con dati meramente amministrativi potrebbe non essere agevole per il dichiarante, al quale dovrebbe essere consentito di limitarsi a indicare i propri dati anagrafici e la propria inequivocabile volontà di rinuncia.
Inoltre lo spazio dedicato alla ragione per cui il dichiarante effettua la rinuncia – pur di opportuna previsione nel modulo – potrebbe essere riempito anche solo con la mera dichiarazione di non volere esplicitare la propria motivazione, essendo la rinuncia espressione di un diritto potestativo.
Indicare in positivo la ragione a fondamento di tale passo potrebbe peraltro essere di interesse per il dichiarante, specie nel caso in cui volesse dimostrare in seguito che alla base dell’atto di rinuncia vi era una falsa presupposizione, tale da fare risultare la dichiarazione di rinuncia effettivamente non voluta e quindi inefficace; o anche nel caso in cui la motivazione della rinuncia, costituita da esigenze esistenziali o familiari, non escluda di per sé la persistenza di un pericolo grave che il dichiarante è però disposto a affrontare pur di riacquistare, ad esempio, una libertà di circolazione e di rientro nel Paese di origine che lo status di protetto gli rende invece impossibile.
La rinuncia allo status potrebbe ad esempio essere motivata dall’esigenza di ottenere un permesso di soggiorno per lavoro in luogo di quello per asilo al fine di non dovere esibire alle autorità di polizia di un paese terzo (incluso quello di origine del protetto) su loro eventuale richiesta un permesso di soggiorno (per rifugiati, o anche solo di protezione sussidiaria) che potrebbe dare luogo a una reazione pregiudizievole e a volte drammatica da parte di tali autorità.
Insomma, la motivazione della rinuncia, esplicitata o meno che sia nell’atto di rinuncia, avrà il suo rilievo nel momento in cui il dichiarante si trovi a nuovamente rivendicare il riconoscimento dello status di protetto internazionale.
Ciò potrebbe accadere nell’immediato, retrocedendo dalla propria dichiarazione di rinuncia perché fondata su una falsa presupposizione e dunque su una volontà solo apparente; ma potrebbe più probabilmente avvenire in un tempo successivo, formulando una nuova richiesta di protezione internazionale, nei riguardi della quale tuttavia l’intervenuta rinuncia costituisce un elemento di indubbia criticità che onera il richiedente di una adeguata esposizione delle ragioni del bisogno di protezione, persistenti dopo tale rinuncia, nonché delle ragioni che lo hanno indotto prima a tale rinuncia e poi a una successiva nuova domanda di protezione.
La rinuncia non è causa di inammissibilità dell’eventuale nuova domanda
La legge non qualifica la nuova domanda di asilo del già rinunciante come inammissibile. Infatti l’art. 29 del d.lgs. n. 25/2008 considera tra i casi di “inammissibilità della domanda” quello del richiedente già riconosciuto, ma solo se al momento della domanda “egli possa ancora avvalersi di tale protezione”, ciò che non è certo il caso del rinunciante.
È inoltre inammissibile la domanda di chi abbia “reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione stessa senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine”. Ma anche questo caso, essendo implicitamente riferito alla reiterazione di una domanda già respinta, non riguarda il rinunciante, già beneficiario di una decisione a lui favorevole.
Sulla scorta di queste brevi considerazioni, non può dunque che lasciare perplessi l’affermazione figurante nel modulo con la quale si avvisa il rinunciante che “l’eventuale riproposizione della domanda potrà comportare una preliminare valutazione di ammissibilità”, in quanto priva di fondamento normativo, essendo i casi di inammissibilità solo quelli eccezionalmente previsti come tali dalla legge.
Last but not least, va piuttosto considerato che, in mancanza di un accertamento da parte della Commissione per il riconoscimento dello status dell’oggettivo venire meno del bisogno di protezione, il protetto internazionale (anche dopo la dichiarazione di rinuncia allo status amministrativamente riconosciutogli) fino a dimostrazione contraria permane in una condizione di pericolo.
Egli dunque, benché privato degli effetti giuridici dello status e della sua stessa titolarità sul piano amministrativo, versa tuttavia in una sorta di stato di quiescenza della sua condizione di protetto internazionale che dovrà essere valutata, ad esempio, all’atto del diniego del successivo permesso di soggiorno per lavoro o per altri motivi, onde evitarne il rimpatrio, riavviando una procedura di rilascio di un nuovo permesso di soggiorno per protezione internazionale o almeno per protezione speciale (nel caso l’interessato rifiuti la prima e più vantaggiosa opzione)2.
Vero è che la rinuncia potrebbe avere ormai svelato il sopravvenuto venir meno delle ragioni della protezione. Si tratta tuttavia di un fatto sopravvenuto che al pari di altri potrà convincere la Commissione a constatare la cessazione delle ragioni della protezione oppure, al contrario, a ribadire la necessità che tale protezione venga nuovamente affermata.
Fragilità del volere ed eventuali verifiche sulla consapevolezza della dichiarazione
Opportunamente nel modulo il dichiarante è avvisato che la sua dichiarazione “potrà essere subordinata a una convocazione o ad altra forma di verifica del carattere consapevole e informato della presente espressione di volontà”.
L’Amministrazione si riserva dunque – ma non si obbliga dal punto di vista procedimentale – di sottoporre la dichiarazione di rinuncia, prima di riconoscerle effettività giuridica, a una successiva e in effetti opportuna verifica riguardo alla piena libertà e consapevolezza della dichiarazione stessa.
Questa ipotetica intenzionalità dell’Amministrazione muove da motivazioni bene immaginabili le quali, proprio perché condivisibili, evidenziano l’inadeguatezza della soluzione pur meritevolmente congegnata sul piano procedimentale.
Come ben sanno gli operatori (a vario titolo coinvolti nelle procedure di asilo, nell’accoglienza dei richiedenti e dei protetti, nonché, infine, nel più lungo percorso di inclusione sociale) dietro ogni storia personale c’è un vissuto caratterizzato da fortissimo stress che non di rado produce problematiche meritevoli di un accudimento psicologico, psicologico-clinico o anche psichiatrico.
Si verifica tuttavia un’ampia forbice tra i casi meritevoli di tale accudimento e le effettive prese in carico. Ciò avviene per molte ragioni, oltre a quelle costituite dalla eventuale mancanza di consapevolezza della propria fragilità da parte degli interessati e dalla loro insopprimibile libertà di cura a termini dell’art. 32 Cost.
A ciò si aggiunga, quale ultima considerazione al riguardo, che di rado al disagio psichico accertato e curato sul piano medico corrisponde una forma di etichettatura sul piano giuridico del sofferente, il quale rimane dunque pienamente capace di agire, sul piano generale, malgrado la fragilità del suo volere.
L’avventatezza, l’inconsapevolezza, l’ira, il vittimismo, la delusione, il bipolarismo, la depressione, l’illusione di potere fuggire altrove, la pena per affetti familiari recisi… e ancora molto altro possono quindi motivare dichiarazioni di rinuncia solo apparentemente fredde, meditate e consapevoli.
Vero è che, se il dovere di protezione corrispondesse a un mero diritto soggettivo del richiedente, un esame rutinario della fragilità o meno del volere individuale costituirebbe un atteggiamento paternalista non tollerabile da parte dell’Amministrazione. Trattandosi però di un diritto umano fondamentale l’inevitabile riconoscimento della signoria del volere individuale dovrebbe sempre (e non solo eventualmente) accompagnarsi a un successivo colloquio di verifica condotto con adeguata professionalità.
La consapevolezza riguardo agli effetti amministrativi ulteriori
Il tema cruciale della consapevolezza del volere non si pone però solo riguardo a particolari, seppure diffuse, fragilità psicologiche ma si giustifica anche in ragione della complessità delle conseguenze giuridiche e in specie amministrative della perdita dello status, in particolare sotto due profili: a) la perdita di diritti riservati ai protetti internazionali e quindi non conservabili in capo all’ex protetto che pure mantenga il diritto di soggiorno in Italia (ad esempio per motivi familiari o di lavoro); b) il possibile venire meno, successivamente alla rinuncia allo status di protetto, dell’aspettativa, pur in apparenza ragionevole, di potere convertire il proprio permesso di soggiorno per asilo in un permesso di soggiorno di cui si riteneva di avere i requisiti, in seguito non riscontrati dall’amministrazione procedente.
È dunque essenziale che il rinunciante abbia la possibilità di valutare con pienezza di informazione anche quali siano le effettive prospettive riguardo alla sua futura regolarità del soggiorno in Italia (e di conseguenza nell’Unione europea) nel caso di rinuncia allo status.
Sull’opportunità di un procedimento che condizioni, su richiesta dell’interessato, la rinuncia del protetto internazionale alla conversione del titolo di soggiorno
Manca purtroppo – per imprevisione normativa – uno strumento di cui davvero sarebbe auspicabile l’introduzione nel nostro ordinamento: quello della rinuncia condizionata all’ottenimento di un diverso titolo di soggiorno.
È infatti molto probabile che una parte dei titolari di protezione internazionale oggi farebbero a meno della protezione stessa, traendo da ciò sia alcuni importanti svantaggi che alcuni soggettivi vantaggi, se avessero però la certezza di ottenere in sostituzione del permesso di soggiorno per asilo un diverso titolo di soggiorno.
La prassi mostra infatti che anche un’aspettativa non temeraria di poter convertire il permesso di soggiorno può poi incontrare ostacoli imprevisti, anche a fronte dell’ambiguità delle norme e di un qualche margine di discrezionalità tecnica in capo ai singoli uffici-stranieri.
Vero è (ma qui la decisione sul modus procedendi spetta alle singole questure, ove manchi una indicazione da parte della direzione ministeriale competente 3) che gli uffici potrebbero decidere di esigere l’atto di rinuncia alla protezione solo dopo avere previamente verificato l’accoglibilità in concreto della domanda di conversione del permesso di soggiorno, dandone contezza all’interessato attraverso la forma, solo apparentemente contraddittoria, di un preavviso di rigetto col quale, riconosciuta la sussistenza degli altri requisiti previsti per il rilascio del permesso di soggiorno richiesto, si sottolinei la necessità, ai fini dell’accoglimento della domanda di conversione, della dichiarazione di rinuncia allo status non ancora resa.
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Note:
1) Ciò può contribuire a spiegare talune disavventure amministrative, come quella divenuta oggetto della decisione del TAR Emilia Romagna, sez. I, 13 gennaio 2022, n. 32 (dichiarazione di rinuncia firmata presso un commissariato ma priva di data da parte del dichiarante, nonché richiedente il permesso di soggiorno provvisorio previsto dal provvedimento di regolarizzazione di cui all’art. 103, co. 2, d.l. 34/2020).
2) Sul punto cfr. M. Benvenuti, La protezione internazionale degli stranieri in Italia, Napoli, Jovene ed., 2011, p. 593 ss.
3) Come accaduto, ad esempio, con la circolare del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, del 19 giugno 2020, n. 44360, con cui è stato chiarito che, in materia di regolarizzazione dei richiedenti asilo irregolarmente impiegati dai loro datori di lavoro o in grado di dimostrare di avere avuto un pregresso impiego in agricoltura o come lavoratori domestici, la norma non prevedeva alcuna rinuncia preventiva ma solo la possibilità di optare per la rinuncia alla domanda di asilo al momento della convocazione per il rilascio del permesso di soggiorno (per lavoro, ma cartaceo, nel caso di proseguimento della procedura di emersione, oppure nella forma del permesso unico per lavoro nel caso di rinuncia alla domanda di protezione).
Fonte: Paolo Morozzo della Rocca, 15 ottobre 2022
