Massima/Decisione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1180 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto dall’Associazione Artsen Zonder Grenzen (Medicins San Frontières, Netherlands), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Andrea Mozzati, Mario Sanino ed Enrico Mordiglia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
sul ricorso numero di registro generale 1678 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto dall’Associazione Artsen Zonder Grenzen (Medicins San Frontières, Netherlands) e dalla società Uksnøy Barents Ks, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avv.ti Andrea Mozzati, Mario Sanino ed Enrico Mordiglia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministero dell’Interno e il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
quanto al ricorso n. 1180 del 2023:
– della comunicazione del 7 gennaio 2023, con la quale il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, con funzioni di Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo (Italian Maritime Rescue Coordination Centre-ITMRCC), ha informato che la competente Autorità Nazionale aveva assegnato alla nave Geo Barents il porto di Ancona per lo sbarco dei 73 naufraghi a bordo;
– della comunicazione del 7 gennaio 2023, con la quale il medesimo Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto ha informato che la competente Autorità Nazionale aveva confermato l’assegnazione alla nave Geo Barents del porto di Ancona quale porto sicuro;
– di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e/o conseguente ivi compresi: i) la nota del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto del 7 gennaio 2023 delle ore 16.04 (richiesta informazioni circa il previsto arrivo della nave Geo Barents al porto di Ancona); ii) la nota Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto 7 gennaio 2023 delle ore 23.06, recante l’invito alla nave a “procedere senza indugio e con rotta diretta al porto assegnato alla massima velocità consentita”;
– le note del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto dell’8 gennaio 2023 delle ore 2.31, 9.40 e 20.37, recanti l’intimazione alla nave di “proseguire senza ulteriori indugi e con rotta diretta al porto assegnato di Ancona alla massima velocità consentita”;
– gli atti anche interni, con i quali il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto ha individuato, quale porto di destinazione il porto di Ancona;
– le comunicazioni intercorse tra il Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo e le altre Autorità Competenti relativamente a tale assegnazione;
per quanto riguarda i motivi aggiunti:
per l’annullamento:
– delle note del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto del 4 gennaio 2023 (ore 18.31), del 7 gennaio 2023 (ore 14.00) n. 03.03.01/118/CO, del 7 gennaio 2023 (ore 18.27) n. 03.03.01/126/CO, del 7 gennaio 2023 (ore 23.08), dell’8 gennaio 2023 (ore 03.10) n. 03.03.01/131/CO, dell’8 gennaio 2023 (ore 10.14) n. 03.03.01/136/CO, del 10 gennaio 2023 (ore 14.07) n. 03.03.01/178/CO, del 10 gennaio 2023 (ore 15.29) n. 03.03.01/181/CO, del 10 gennaio 2023 (ore 20.00) n. 03.03.01/187/CO e dell’11 gennaio 2023 (ore 10.24) n. 03.03.01/190/CO, con le quali sono state fornite al Ministero dell’Interno, al Ministero della Difesa, al Ministero degli Affari Esteri, al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, alla Direzione Centrale Immigrazione e Polizia delle frontiere e alle altre Amministrazioni interessate, informazioni circa le attività svolte dalla nave Geo Barents tra il 4 gennaio e l’11 gennaio 2023;
– delle note del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, Centro Nazionale di Coordinamento per l’Immigrazione – NCC Italia del 7 gennaio 2023 (ore 14.20 e 19.14);
– di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e/o conseguente;
quanto al ricorso n. 1678 del 2023:
per l’annullamento
– della comunicazione del 24 gennaio 2023, con la quale il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, con funzioni di Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo (Italian Maritime Rescue Coordination Centre – IMRCC), ha informato che il Ministero dell’Interno aveva assegnato alla nave Geo Barents il porto di La Spezia per lo sbarco dei naufraghi a bordo;
– del provvedimento del 24 gennaio 2023, con il quale il medesimo Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto ha confermato che il Ministero dell’Interno aveva assegnato alla nave Geo Barents il porto di La Spezia quale porto di sbarco per le persone a bordo;
– del provvedimento 25 gennaio 2023, con il quale lo stesso Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto ha confermato che il porto assegnato alla nave Geo Barents dal Ministero dell’Interno rimaneva quello di La Spezia;
– di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e/o conseguente, ivi compresi:
– degli atti anche interni, con i quali il Ministero dell’Interno ha individuato, quale porto di destinazione, il porto di La Spezia;
– delle comunicazioni intercorse tra il Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo e le altre Autorità Competenti relativamente a tale assegnazione;
per quanto riguarda i motivi aggiunti:
– delle note del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto del 23 gennaio 2023 (ore 10.32) n. 03.03.01/339/CO, del 24 gennaio 2023 (ore 16.18) n. 03.03.01/360/CO; del 24 gennaio 2023 (ore 19.06) n. 03.03.01/364/CO, del 24 gennaio 2023 (ore 23.27) n. 03.03.01/368/CO, del 25 gennaio 2023 (ore 07.00) n. 03.03.01/370/CO, del 25 gennaio 2023 (ore 11.41) n. 03.03.01/371/CO, del 25 gennaio 2023 (ore 14.43) n. 03.03.01/376/CO, del 25 gennaio 2023 (ore 18.46) n. 03.03.01/382/CO, del 27 gennaio 2023 (ore 13.42 e 13.45), con le quali sono state fornite al Ministero dell’Interno, al Ministero della Difesa, al Ministero degli Affari Esteri, al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, alla Direzione Centrale Immigrazione e Polizia delle frontiere e alle altre Amministrazioni interessate, informazioni circa le attività svolte dalla nave Geo Barents tra il 24 gennaio e il 27 gennaio 2023;
– delle note del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, Centro Nazionale di Coordinamento per l’Immigrazione (NCC Italia) del 24 gennaio 2023 (ore 17.43 e 23.52);
– di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e/o conseguente.
Visti i ricorsi i motivi aggiunti, le memorie e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio e le memorie delle Amministrazioni intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 giugno 2023 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – Entrambi i ricorsi in epigrafe sono stati proposti dall’Associazione Artsen Zonder Grenzen, noleggiatrice della nave Geo Barents (di proprietà della società Uksnoy Barents Ks), battente bandiera norvegese, la quale svolge da qualche anno attività di monitoraggio e di salvataggio dei migranti in mare nel Mediterraneo centrale, con l’obiettivo di fornire il proprio contributo alla tutela dei diritti umani e di sopperire ad eventuali disfunzioni e inefficienze dell’attuale sistema dei soccorsi in mare.
I gravami sono volti a contestare le comunicazioni con cui, in relazione a due operazioni di salvataggio di migranti in acque libiche (e quindi extraterritoriali), le Autorità italiane hanno individuato, come luogo di sbarco, alcune destinazioni in tesi disagevoli da raggiungere e contrastanti con la normativa internazionale di riferimento.
2 – Con il ricorso RG n.1180/2023, la predetta Associazione ha impugnato le comunicazioni con cui il 7 gennaio 2023 il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, con funzioni di Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo (Italian Maritime Rescue Coordination Centre-ITMRCC), ha comunicato prima e confermato poi l’assegnazione del porto di Ancona per lo sbarco dei 73 naufraghi soccorsi dalla Geo Barents al largo delle coste libiche.
2 – Con il ricorso RG n.1678/2023, la medesima Associazione, questa volta insieme alla società norvegese proprietaria della Geo Barents (la società Uksnoy Barents Ks), ha gravato le comunicazioni con cui il 23 gennaio 2023, con cui il medesimo Comando Generale ha comunicato prima e confermato poi l’assegnazione del porto di La Spezia per lo sbarco dei 69 naufraghi soccorsi dalla Geo Barents sempre al largo delle coste libiche.
3 – I ricorsi sono stati affidati agli stessi motivi: i) violazione degli artt. 2, 3, 10, 11 e 117, Cost.; violazione artt. 3 e 21 del Trattato sull’Unione Europea; violazione artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 18, 19, 20, 21, 22, 24, 41, 45, 49, 51, 52, 53 e 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000; violazione artt. 1, 2, 3, 4, 5, 14, 15 e 17 della CEDU; violazione artt. 94 e 98, Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del mare del 10 dicembre 1982 e della legge n. 689/1994; violazione del Cap. V, regola 10 e del Cap. V, regola 33 della Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare SOLAS del 1° novembre 1974 e della l.n. 313/1980; violazione del par. 3.1.9, Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo SAR del 27 aprile 1979 e della legge n. 147/1989; violazione delle Linee Guida sul trattamento delle persone soccorse in mare di cui alla risoluzione IMO 20/5/2004 MSC.167(178); violazione dell’art. 1, d.l. n. 130/2020 (convertito in legge, con modificazioni, dalla l.n. 173/2020); violazione degli artt. 3, 5, 9 e 14 della Dichiarazione Universali dei Diritti dell’Uomo 10 dicembre 1948; violazione degli artt. 6, 7 e 13 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 16 dicembre 1966; violazione degli artt. 31, 32 e 33, Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 28 aprile 1951 e della l.n. 722/1954; violazione del Protocollo ONU sullo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967; violazione del principio di proporzionalità; difetto di istruttoria e di motivazione; ingiustizia grave e manifesta: le Autorità italiane avrebbero violato la normativa internazionale sull’individuazione del porto sicuro (“place of safety” di seguito anche “POS”), che in tesi avrebbe dovuto indurle ad assegnare quale luogo per lo sbarco il luogo più vicino alle operazioni di soccorso; ii) violazione degli artt. 1 e 3, l.n. 241/1990 e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 in relazione anche a tutte le norme indicate nel primo motivo: gli atti impugnati e segnatamente quelli con cui è stato individuato il luogo di sbarco sarebbero sprovvisti di motivazione; iii) violazione del principio di proporzionalità; difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento, contraddittorietà, ingiustizia grave e manifesta; iv) sviamento di potere, nella misura in cui l’operato dell’Autorità italiana sarebbe volto a intralciare l’azione delle ONG e a congestionare i porti siti nelle città amministrate dalle forze politiche di opposizione all’attuale Governo.
4 – Le Amministrazioni intimate si sono costituite in resistenza ad entrambi i ricorsi e con articolata memoria hanno concluso per la loro infondatezza e hanno sostenuto la piena legittimità delle comunicazioni impugnate con dovizia di argomentazioni.
5 – Nel frattempo, avverso le produzioni versate in giudizio dalle Amministrazioni le ricorrenti hanno proposto, in entrambe le controversie, motivi aggiunti, censurando in particolare gli atti con cui il Ministero dell’Interno ha provveduto ad individuare i porti di sbarco.
Negli atti di motivi aggiunti, da una parte sono stati estesi agli atti impugnati in via sopravvenuta i motivi di ricorso già proposti avverso le comunicazioni avversate con i ricorsi originari e dall’altra è stata introdotta una nuova censura, relativa all’asserita incompetenza del Ministero dell’Interno a provvedere in materia.
6 – In vista dell’udienza pubblica, fissata per entrambi i ricorsi nella stessa data, le parti con memorie e repliche, hanno ulteriormente sviluppato e articolato le rispettive e contrapposte tesi.
7 – All’udienza pubblica del 7 giugno 2023, uditi gli avvocati come da verbale, entrambe le cause sono state assunte in decisione.
8 – In via preliminare, il Collegio ritiene opportuno disporre la riunione dei due ricorsi in trattazione ai sensi dell’art. 70 cod.proc.amm., ravvisandone i presupposti di connessione in quanto tali gravami: i) sono proposti dal medesimo ricorrente; ii) involgono provvedimenti diversi ma dello stesso contenuto e pongono le medesime questioni di diritto.
9 – Ambedue i ricorsi e i motivi aggiunti sono infondati, il che esime il Collegio dall’esaminare le eccezioni preliminari sollevate in punto di rito dalla difesa delle Amministrazioni resistenti.
10 – Il Tribunale, in applicazione delle coordinate stabilite dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5/2015, deve principiare il proprio esame dalla censura formulata negli atti di motivi aggiunti, con cui è stata dedotta l’incompetenza del Ministero dell’Interno ad individuare il porto sicuro, atteso che in tesi nessuna norma di legge gli attribuirebbe competenze amministrative nella gestione e nell’organizzazione di soccorso dei migranti.
Difatti, nel caso di accoglimento di tali preliminari censure, al Collegio sarebbe interdetto in questa sede, stante il principio di cui all’art. 34, comma 2 del cod.proc.amm., pronunciarsi sull’attività consentita al diverso organo in ipotesi competente.
La censura di incompetenza non coglie nel segno.
10.1 – Infatti, è ben vero che: i) la normativa interna di attuazione della Convenzione internazionale di Amburgo del 27 aprile 1979 (c.d. Convenzione SAR) in materia di ricerca e soccorso in mare (l.n. 147/1989 e d.P.R. n. 662/1994) individua nel Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti l’Autorità nazionale responsabile della sua esecuzione; ii) il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera rappresenta l’organo nazionale che assicura il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo.
È tuttavia altrettanto evidente e innegabile che le operazioni di soccorso vanno inquadrate nel più ampio e complesso contesto del fenomeno migratorio via mare e coinvolgono aspetti di corretta organizzazione e allocazione delle persone soccorse nonché della loro accoglienza, direttamente afferenti all’ordine pubblico e alla gestione dell’immigrazione, materie queste di diretta competenza del Ministero dell’Interno.
Le stesse linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Risoluzione MSC.167 (78), Guidelines on the Treatment of Persons Rescued At Sea, Maggio 2004) richiamano l’esigenza di un approccio unitario e integrato, fra le diverse autorità interne a vario titolo competenti, nell’ambito delle operazioni preordinate all’individuazione del luogo sicuro per lo sbarco (POS – place of safety).
Dette linee guida, infatti, al par. 6.5 prevedono che ogni centro di soccorso marittimo debba dotarsi di appositi piani operativi, concordati con le altre amministrazioni interessate (es. autorità competenti in materia di ordine pubblico, immigrazione ecc.), contenenti in particolare – tra le altre – anche le procedure per l’individuazione del luogo sicuro.
A tale stregua, nell’ordinamento interno sono state adottate, con direttiva interministeriale, le procedure operative standard (c.d. standard operational procedures -SOP) nel caso di operazioni di soccorso coordinate dall’Autorità preposta al soccorso marittimo, definite nel luglio 2015 nell’ambito di un tavolo tecnico interministeriale.
Tali procedure evidenziano il ruolo fondamentale del Ministero degli Interni nell’individuazione del luogo di sbarco, proprio in considerazione: i) della frequenza degli interventi di soccorso; ii) dell’elevato numero di migranti da soccorrere in relazione ad ogni singolo evento; iii) della presenza nelle aree interessate di unità private autonomamente gestite da ONG per finalità di soccorso; iv) della necessità di disporre nei luoghi di sbarco un apposito servizio di assistenza (sanitario e di ordine pubblico), che la normativa affida al Ministero dell’Interno e che viene organizzato a cura delle locali Prefetture.
10.2 – Tali previsioni risultano pienamente coerenti con il ruolo e con i poteri riconosciuti al Ministero dell’Interno dalla normativa primaria e segnatamente: i) dall’art. 1 della l.n. 121/1981 secondo cui “Il Ministro dell’interno è responsabile della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica ed è autorità nazionale di pubblica sicurezza. Ha l’alta direzione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e coordina in materia i compiti e le attività delle forze di polizia. Il Ministro dell’interno adotta i provvedimenti per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica…”; ii) dall’art. 10-ter del d.lgs n. 286/1998, a mente del quale “1. Lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed è assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.”; iii) dall’art. 11 del D. Lgs. n. 286/1998, che attribuisce al Ministero dell’interno compiti in tema di controllo delle frontiere; iv) dall’art. 35 della legge n. 189/2002, che istituisce presso il Dipartimento della pubblica sicurezza la Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere; v) dall’art. 12 del d.lgs n. 286/1998, concernente le funzioni di impulso e coordinamento delle attività di contrasto dell’immigrazione illegale via mare e delle attività, demandate alle Autorità di Pubblica Sicurezza, in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri; vi) dal d.lgs n. 142/2015 di attuazione delle direttive 2013/33/UE e 2013/32/UE, laddove attribuisce al Ministero dell’Interno le funzioni di gestione dell’accoglienza dei migranti, anche ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale.
Oltre alle norme suddette va anche richiamata la previsione di cui all’art. 1, comma 2 e ss. del d.l. n. 130/2020, che deferisce al Ministro dell’Interno – di concerto con i Ministri della Difesa e delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili e previa informazione al Presidente del Consiglio dei Ministri – il potere di limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale (salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale) per motivi di ordine e sicurezza pubblica, in conformità alle previsioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), in presenza di operazioni di recupero di persone in mare connesse al fenomeno migratorio che non siano conformi alle regole di condotta e alle condizioni previste dal medesimo articolo al comma 2-bis.
È evidente come anche tale norma imponga un’analisi e una valutazione congiunta da parte di tutti i Ministeri interessati, delle circostanze e condizioni dell’evento di soccorso in mare che possono condurre tanto all’assegnazione di un POS quanto all’adozione di un provvedimento interdittivo.
L’intervento del Ministero dell’Interno nella designazione del porto di sbarco risulta, quindi, necessario in considerazione dell’imprescindibile necessità dello stesso di effettuare:
– per un verso, una valutazione, d’intesa con gli altri Ministeri interessati, circa la conformità dell’intervento alle condizioni di cui all’art. 1, comma 2-bis, del d.l. n. 130/2020 (ai fini dell’eventuale adozione del provvedimento interdittivo di cui al comma 2),
– per altro verso, un’essenziale valutazione prognostica, per i profili di specifica competenza, circa le possibili ricadute dello sbarco sulle strutture dedicate e sugli organismi preposti alla gestione degli arrivi, in una determinata località, in termini di rapido ma corretto adempimento degli incombenti correlati alle esigenze di assistenza, di accoglienza e di corretta gestione del fenomeno migratorio via mare.
10.3 – A tale stregua, la competenza del Ministero dell’Interno nel processo di individuazione del porto di sbarco, in presenza di interventi in mare, operati da navi private e connessi al fenomeno migratorio risulta giustificata da un univoco e concludente quadro normativo (cfr. in tal senso Cass. Pen., III, n. 6626/2020).
Sulla base delle procedure SOP del 2015, in definitiva, all’individuazione del POS concorrono le valutazioni del Ministero dell’Interno, in quanto detta scelta risponde a logiche di accoglienza dei migranti a terra e anche di gestione delle connesse questioni di ordine pubblico, nonché le valutazioni tecniche del Comando Generale della Capitaneria di Porto, in relazione agli aspetti tecnico-nautici e di sicurezza della navigazione e portuale.
Coesistono e si fondono armonicamente, nel concerto fra dette Autorità, i vari criteri di valutazione nella scelta del POS, che riguardano sia aspetti legati alla gestione dei migranti al loro ingresso in territorio nazionale (di precipua competenza della articolazioni del Ministero dell’Interno) sia aspetti di natura tecnico-nautica (ad es. la compatibilità in termini di caratteristiche della nave con l’infrastruttura portuale; altre problematiche di tipo nautico legate alle condizioni meteomarine e alla sicurezza dell’unità in navigazione), di competenza del IMRCC, quale articolazione del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.
E in entrambe le fattispecie in scrutinio proprio questo è avvenuto, atteso che il Comando Generale (IMRCC), dopo aver ottenuto dal Ministero dell’Interno la designazione del porto sicuro, l’ha condivisa, fatta propria e comunicata alla nave con a bordo i migranti soccorsi.
Ne consegue che gli atti impugnati sono stati adottati nel pieno rispetto delle competenze previste dal vigente assetto normativo.
10.4 – Non convincono le argomentazioni del ricorrente nella parte in cui ha dedotto che gli atti di designazione del luogo di sbarco adottati dal Ministero dell’Interno sarebbero in contrasto: i) con l’art. 2 del d.P.R. n. 662/1994 che, in attuazione della Convenzione di Amburgo del 27 aprile 1979, stabilisce che “l’autorità nazionale responsabile dell’esecuzione della convenzione è il Ministro dei trasporti e della navigazione (oggi Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, n.d.r.)”; ii) con l’art. 3 del medesimo decreto, che individua “il Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto” quale “organismo nazionale che assicura il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo (I.M.R.C.C. – Italian Maritime Rescue Coordination Center”.
L’esame della documentazione in atti conferma, infatti, che nella specie le operazioni di soccorso nel loro complesso sono state coordinate dal Comando Generale della Capitaneria di Porto, che, non a caso, è l’unica autorità ad essersi interfacciata con la Geo Barents e a comunicare i dati strumentali alle operazioni di soccorso, che sono stati stabiliti e concertati nel rispetto delle procedure di coordinamento interno con le altre Autorità competenti previste dal surrichiamato quadro normativo.
Tali procedure, infatti, non risultano né incompatibili né contrastanti con il citato d.P.R. n. 662/1994, le cui previsioni di attuazione della Convenzione SAR si sono limitate a identificare il soggetto interno deputato a sovrintendere agli obblighi di soccorso e di salvataggio, senza disciplinare anche gli aspetti procedurali e le competenze per l’adozione di singoli atti a ciò preordinati, come la fissazione del POS. Tali aspetti, in esecuzione del principio di autonomia procedurale, sono stati coerentemente deferiti alla disciplina dei singoli Stati aderenti, nella specie già in precedenza rassegnata.
Inoltre la surrichiamata procedura di coordinamento con il Ministero dell’Interno, formalizzata in una direttiva interministeriale, è stata concordata proprio in attuazione delle linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare e quindi di un atto preordinato alla più efficace attuazione degli obblighi convenzionali.
Non ha neppure pregio l’invocata violazione del punto 370 del Piano SAR Marittimo Nazionale, Ed. 2020, secondo cui “in ogni situazione operativa il luogo sicuro di sbarco dei naufraghi è determinato in virtù della normativa vigente e delle direttive e dalle linee guida emanate dal sig. Ministro dei Trasporti e/o dal Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera”.
Al riguardo, è decisivo osservare che il vigente Piano SAR Marittimo Nazionale (edizione 2020), approvato con decreto ministeriale n. 45, del 4 febbraio 2021, del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (lo stesso richiamato dalle ricorrenti a sostegno della loro tesi), prevede invece che “Con riferimento alle Mass rescue Operations correlate al fenomeno migratorio via mare restano salve le previsioni specifiche di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. 286/98 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, norma questa che attribuisce rilievo alle competenze del Ministero dell’Interno in materia (cfr. Piano SAR ED. 2020, Punto 110 “SCOPO DEL PIANO S.A.R. MARITTIMO”, richiamato anche in nota al punto 270 proprio per enfatizzare la necessità di un’interpretazione combinata delle due previsioni).
Infine, non convince neppure l’argomentazione ricorsuale, secondo cui l’art. 10-ter del d.lgs n. 286/1998 varrebbe al più ad ancorare la competenza del Ministero dell’Interno al momento dello sbarco dei migranti, ma non già in sede di designazione del POS.
Tale lettura, infatti, poggia su una visione della nozione di soccorso restrittiva e riduttiva, non coerente con la Convenzione SAR e con le surrichiamate linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare, che la concepiscono come insieme unitario e integrato di fasi e operazioni che vanno dal recupero dei migranti in mare al loro sbarco in un luogo sicuro (cfr. in tal senso ancora Cass. Pen., III, n. 6626/2020).
In tal ottica, la designazione del POS effettuata in modo da garantire l’efficace e ordinata gestione del flusso migratorio costituisce adempimento strettamente connesso a garantire l’effettività dello sbarco nel luogo sicuro: detta designazione, infatti, garantisce l’individuazione di un porto di destinazione in cui sono garantiti non solo la sicurezza dei migranti ma soprattutto lo svolgimento celere e adeguato delle operazioni di accoglienza, di identificazione e tutte le successive misure di gestione.
Le funzioni attribuite al Ministero dell’Interno, quindi, lungi dall’afferire ad una fase successiva del soccorso, risultano piuttosto preordinate a garantire il suo efficiente e celere svolgimento, nel precipuo interesse dei migranti soccorsi.
Il Collegio, quindi, ritiene che l’art. 10-ter del d.lgs n. 286/1998, alla stregua di una sua interpretazione logico-funzionale, costituisca espressione del principio che radica la competenza del citato Dicastero a realizzare le condizioni perché le operazioni di soccorso e la gestione del flusso migratorio nel Paese possano avvenire in modo ordinato, sicuro ed efficiente.
Alla medesima conclusione si giunge anche sulla base di un’interpretazione combinata di tali norma con l’art. 1 della l.n. 121/1981 che attribuisce al ridetto Ministero con generalità e pienezza i poteri necessari alla gestione dell’ordine pubblico, di cui fa parte la gestione del flusso migratorio via mare.
10.5 – Sulla base di quanto fin qui rappresentato, non si ravvisa nella specie alcun vizio di incompetenza degli atti impugnati.
11 – Il Collegio può ora passare a scrutinare il primo mezzo dei ricorsi e dei motivi aggiunti, con cui le ricorrenti hanno lamentato che gli atti avversati sarebbero in contrasto con la normativa internazionale in materia di individuazione del luogo sicuro. In tesi, le convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare e le relative linee guida avrebbero imposto nella fattispecie l’individuazione come porti di sbarco di luoghi vicini alla zona del soccorso e non luoghi distanti come quelli selezionati.
Le ricorrenti hanno, in particolare, invocato alcuni emendamenti alla Convenzione di Amburgo del 27 aprile 1979 (c. d. Convenzione SAR) e alla Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare del 1° novembre 1974 (c. d. Convenzione SOLAS), secondo cui:
– “Gli Stati contraenti assicurano il coordinamento e la cooperazione “in modo che i sopravvissuti assistiti vengano sbarcati dalla nave di assistenza e consegnati in un luogo sicuro tenendo conto delle circostanze particolari del caso e delle linee guida sviluppate dall’Organizzazione”, in maniera tale che “tale sbarco sia effettuato non appena ragionevolmente praticabile” (Regola 33 del paragrafo 1.1 della Convenzione SOLAS come emendata dalla risoluzione 25/5/2004 MSC. 153 (78)”;
– “Gli Stati membri devono coordinarsi e cooperare nelle operazioni di soccorso e prendere in carico i naufraghi “in modo che i sopravvissuti assistiti vengano sbarcati dalla nave di assistenza e consegnati in un luogo sicuro tenendo conto delle circostanze particolari del caso e delle linee guida sviluppate dall’organizzazione, cosicché lo sbarco sia effettuato non appena ragionevolmente possibile (paragrafo 3. 1.9 punto del Capitolo 3 della Convenzione SAR come emendata dalla risoluzione 20/5/2004 MSC. 153 (78)”.
La censura, per quanto ben argomentata, non è meritevole di positiva considerazione.
11.1 – Non convince, infatti, l’architrave logico secondo il quale la nozione di “porto sicuro” fatta propria dalla surrichiamata disciplina internazionale coinciderebbe necessariamente con quello più vicino alla zona di soccorso.
Infatti, la citata Convenzione SAR, impone che, rispetto alla propria area di competenza, come definita nella Convenzione, “le Parti si assicurano che venga fornita assistenza ad ogni persona in pericolo in mare. Esse fanno ciò senza tener conto della nazionalità o dello statuto di detta persona, né delle circostanze nelle quali è stata trovata”.
Tale previsione è integrata dalla Risoluzione MSC.167(78) del 2004, la quale conferma come gli Stati responsabili debbano “… fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito…” (cfr. par. 2.5) ai naufraghi e ai sopravvissuti soccorsi.
Ora, il paragrafo 6.12 della medesima risoluzione, si limita a definire “porto sicuro” (“place of safety” ) il luogo in cui si considerano terminate le operazioni di salvataggio. In detto luogo, i sopravvissuti non si trovano più esposti ad un rischio per la loro vita e possono accedere ad alcuni beni e servizi fondamentali (cibo e acqua, rifugio e ripario, cure mediche).
Inoltre, il POS non deve trovarsi necessariamente sulla terraferma, dal momento che possono essere considerati porti sicuri anche una nave o una struttura (ad esempio, una piattaforma petrolifera) su cui i naufraghi possano essere soccorsi e accolti in attesa di una successiva destinazione. Invero, nella Risoluzione MSC.167(78) del 2004 si evidenzia come una barca possa essere un POS, purché temporaneo, in attesa che le autorità mettano a disposizione una alternativa più sicura e duratura.
La definizione di porto sicuro è, quindi, essenzialmente ottenuta in senso negativo, risulta esplicitata in misura prevalente in documenti di soft law ed è connotata con formulazioni ampie ed elastiche, come nel caso delle risoluzioni richiamate nel ricorso.
Va, poi, ricordato come nessuna delle convenzioni citate faccia alcun riferimento al concetto di “porto più vicino”, criterio invece esplicitamente utilizzato in altri ambiti del diritto internazionale marittimo (come, ad esempio, in caso di collisioni tra natanti).
La stessa nozione fatta propria dal Regolamento 2013/106 del Parlamento Europeo e del Consiglio definisce il POS come “un luogo in cui si ritiene che le operazioni di soccorso debbano concludersi e in cui la sicurezza per la vita dei sopravvissuti non è minacciata, dove possono essere soddisfatte le necessità umane di base e possono essere definite le modalità di trasporto dei sopravvissuti verso la destinazione successiva o finale tenendo conto della protezione dei loro diritti fondamentali nel rispetto del principio di non respingimento”.
Tale definizione peraltro, ricalca sostanzialmente quella contenuta nel Piano SAR marittimo nazionale del 2020. Tale piano, infatti, per luogo sicuro di sbarco intende un “luogo dove le operazioni di soccorso si considerano terminate. È altresì un luogo ove la sicurezza relativa alla vita dei sopravvissuti non è più minacciata e dove i loro bisogni umani di base (come cibo, riparo e necessità sanitarie) possono essere soddisfatti. È inoltre un luogo da cui possono essere organizzati i trasporti verso la prossima destinazione o la destinazione finale dei sopravvissuti”.
Le precedenti considerazioni confermano che manca una definizione chiara ed internazionalmente condivisa di “porto sicuro” indissolubilmente legata al concetto di porto più vicino.
11.2 – Le stesse norme richiamate dalle ricorrenti (Regola 33, paragrafo 1.1 della Convenzione SOLAS e paragrafo 3.1.9 della Convenzione SAR), nel prevedere che gli Stati debbano coordinarsi e cooperare nelle operazioni di soccorso, individuando e fornendo un porto sicuro alle persone soccorse, sanciscono che lo sbarco debba aver luogo “non appena ciò sia ragionevolmente possibile” (Convenzione SOLAS) o “entro un termine ragionevole” (Convenzione SAR), da valutarsi tenendo conto delle circostanze particolari del caso e, non certo, nel porto più vicino al luogo di soccorso.
Coerentemente con tale impostazione, nessun richiamo al concetto di vicinanza all’aera del soccorso è contenuto nelle Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (cfr. Risoluzione MSC.167(78), approvate dall’IMO nel 2004), intese anch’esse ad assicurare, attraverso più chiare procedure operative, lo sbarco dei naufraghi in un POS in tempi ragionevoli.
Detta espressione, come fatto palese dal suo tenore, oltre ad evocare la tempistica del soccorso e non la vicinitas fisica fra il luogo del soccorso e quello dello sbarco, richiama il concetto di ragionevolezza, che implica la considerazione complessiva e unitaria di diverse esigenze.
A tale stregua, la corretta individuazione della nozione di “porto sicuro” non può prescindere dalla valutazione complessiva: i) della situazione concreta in cui si trovano i migranti soccorsi in mare; ii) della celerità dell’assegnazione del porto per lo sbarco; iii) dell’esigenza di garantire in modo pronto il soccorso ai migranti; iv) degli aspetti logistici relativi alla efficace gestione dei flussi migratori all’interno dello Stato soccorritore, tenuto conto della loro intensità, dell’esigenza di non congestionare determinati territori e dell’efficace espletamento delle prestazioni di accoglienza, di identificazione e di eventuale espulsione e rimpatrio.
Vanno, dunque, contemperati in maniera ragionevole e proporzionale l’esigenza dei migranti ad un pronto soccorso e quella dello Stato che effettua l’intervento alla gestione del flusso migratorio in modo organizzato, equo e sostenibile.
Sulla base di tali coordinate, il Collegio ritiene che in entrambe le fattispecie in scrutinio l’Amministrazione abbia fatto corretta applicazione del principio del “porto sicuro” tenuto conto: i) della sollecita definizione delle operazioni preordinate all’assegnazione della destinazione, esauritesi in entrambi i casi in circa un’ora, in omaggio all’esigenza di garantire la breve durata delle operazioni di soccorso; ii) dell’assetto della nave Geo Barents, di grandi dimensioni, come tale idoneo ad affrontare in sicurezza un più lungo tragitto; iii) della mancata segnalazione ad opera della nave – comprovata dalla documentazione in atti – di situazioni di urgenza a bordo, atteso che, ove ciò fosse avvenuto, si sarebbe provveduto, come sistematicamente accade, ad assicurare l’evacuazione medica della persona in pericolo dal natante; iv) della dimostrata indisponibilità dei centri di accoglienza siti nelle zone vicine all’intervento di soccorsi (zone meridionali del Paese); v) della collocazione dei migranti in zone non lontane dai luoghi di sbarco, meno congestionate.
11.3 – L’operato dell’Amministrazione nella specie va anche adeguatamente considerato alla luce del rilievo per cui l’Autorità italiana è intervenuta, per l’ennesima volta e prontamente, in un contesto giuridico e fattuale in cui non aveva alcun obbligo di fornire un POS, avendo soccorso una nave, battente bandiera norvegese al largo delle coste libiche e quindi in acque extraterritoriali.
In tal caso, a termini del par. 3.1.9. dell’annesso alla Convenzione SAR, l’obbligo di individuare detto luogo sicuro ricadeva prioritariamente sullo Stato costiero nella cui area SAR è stato effettuato l’intervento di soccorso (in questo caso la Libia), il quale aveva la responsabilità del coordinamento e della cooperazione tra gli Stati coinvolti, ivi incluso lo Stato di bandiera dell’unità soccorritrice (Norvegia), finalizzati all’individuazione del luogo sicuro di sbarco.
In assenza di indicazioni da parte dello Stato costiero, tale onere sarebbe spettato allo Stato di bandiera, il quale avrebbe dovuto attivare i meccanismi di cooperazione tra Stati, ai sensi del Capitolo 3 dell’annesso alla medesima Convenzione SAR.
Sul punto, la Risoluzione MSC 167 (78) del 20 maggio 2004, è chiara nel prevedere al paragrafo 3.1 che “lo Stato di bandiera e lo Stato costiero dovrebbero avere delle efficaci disposizioni per la tempestiva assistenza per il comandante della nave, al fine di sbarcare le persone salvate”.
Sennonché, nessuna richiesta di coordinamento è pervenuta alle Autorità italiane né tanto meno queste ultime hanno assunto alcuna azione di coordinamento. Inoltre nessuna normativa (nazionale e internazionale) prevede che sia l’unità che effettua operazioni di soccorso a scegliere il POS od a concertarlo con un’Autorità SAR.
L’Autorità italiana ha, quindi, agito a tutela dei migranti in una situazione di inerzia sia dello Stato costiero nella cui area SAR è stato effettuato l’intervento di soccorso (in questo caso la Libia) sia dello Stato di bandiera della nave, che aveva la giurisdizione in via esclusiva della nave in alto mare (all’interno dell’area SAR libica), come previsto dagli artt. 91, 92 e 94 della Convenzione UNCLOS di Montego Bay del 1982.
Al riguardo, tenuto conto che dette norme contemplano la giurisdizione dello Stato di bandiera sulla nave per le questioni amministrative, tecniche e sociali delle navi che battono la propria bandiera, è difficile ritenere le operazioni di soccorso dei migranti in mare esulanti dalle questioni sociali (cfr. per la sussistenza della giurisdizione dello Stato di Bandiera sulla nave in alto mare, sia essa militare o mercantile, quale principio generale del diritto internazionale cfr. CEDU, caso HIRSI JAMAA e altri contro Italia, ricorso n. 27765/09 parr. 75 e 77, ove sono enunciati principi generali estensibili al caso di specie).
Inoltre, l’assolvimento, da parte del comandante della nave, dell’obbligo di procedere senza indugio al salvataggio di persone in pericolo di vita non impedisce allo Stato di bandiera di fornire alla propria nave le direttive da seguire, compresa l’individuazione del POS, chiedendo eventualmente la cooperazione ad altri Stati, a mente del Capitolo 3 dell’annesso alla Convenzione SAR, rubricato proprio “Cooperazione tra Stati”. E ciò a maggior ragione nel caso di specie in cui la Geo Barents viene impiegata, come le imbarcazioni di altre ONG, in modo stabile e strutturale per soccorrere i migranti in mare in alcune aree del Mediterraneo.
Ora, anche a voler ritenere applicabile alla specie il par. 6.7 della risoluzione IMO 20 maggio 2004 MSC.167(178), nella parte in cui prevede che il primo Stato contattato è responsabile di coordinare il caso fino all’assunzione della responsabilità da parte dello Stato responsabile o di un’altra autorità competente, non si possono non considerare, per valutare la correttezza dell’adempimento delle Autorità italiane agli obblighi convenzionali: i) la loro prolungata azione di supplenza da tempo svolta, pur senza esservi a stretto rigore tenute (si consideri che l’Italia risulta da anni il Paese con più sbarchi); ii) le connesse rilevanti conseguenze, sotto l’aspetto logistico e organizzativo.
In questa chiave valutativa, quindi, ferme le esigenze di soccorso dei migranti, nella specie comunque assicurate, non possono essere pretermesse le esigenze organizzative dello Stato soccorritore a congegnare le operazioni di soccorso in modo da poter gestire in modo ordinato ed efficiente i flussi migratori, nel primario interesse dei migranti a fruire di condizioni di accoglienza decorose.
A tale stregua, le modalità di adempimento individuate nella specie risultano senz’altro immuni da censura, nella misura in cui hanno contemperato in modo proporzionale, le esigenze dei migranti con le esigenze organizzative connesse alla loro equa distribuzione e finalizzate ad una migliore accoglienza.
E ciò del resto è confermato dalla genericità delle censure ricorsuali che, oltre ad essere incentrate sull’erronea premessa della coincidenza fra porto sicuro e luogo più vicino a quello di soccorso, non sono state in grado di porre in risalto il benché minimo aspetto concreto di irragionevolezza e di contraddittorietà nell’operato dell’Amministrazione.
11.4 – La fondatezza delle doglianze formulate circa l’eccessiva permanenza dei migranti sulla nave durante le operazioni di soccorso risulta smentita dallo stesso operato della Geo Barents, considerato che: i) in molteplici interventi compiuti nel recente passato dalla stessa nel Mediterraneo centrale, il comando di bordo risulta aver atteso diversi giorni prima di inoltrare la richiesta di POS alle autorità italiane, trattenendosi in area SAR libica per intercettare ulteriori imbarcazioni e avvicinandosi alle acque SAR italiane solo dopo aver imbarcato un numero cospicuo di migranti; ii) la stessa imbarcazione, in navigazione verso Ancona aveva manifestato la disponibilità ad effettuare una deviazione per compiere un’ulteriore operazione di soccorso nelle vicinanze (cfr. quanto rappresentato a pag. 4 del ricorso).
Nello stesso senso, costituisce fatto notorio che in diversi casi le navi di alcune ONG hanno effettuato operazioni di sbarco di migranti soccorsi in mare sulle coste francesi e sulle coste greche, quindi in porti ben più lontani di quelli di Ancona e di La Spezia.
11.5 – Infondata, infine, in quanto genericamente affermata senza alcun adeguato riscontro né alcuna conferma nella documentazione in atti, risulta la doglianza secondo cui le Autorità italiane avrebbero violato il principio del non respingimento, in quanto nei soccorsi avrebbero operato una discriminazione in considerazione della nazionalità di migranti soccorsi e nelle circostanze nelle quali sono stati trovati.
Nelle decisioni assunte, infatti, hanno assunto rilievo unicamente esigenze di carattere logistico e organizzativo, che comunque non hanno pregiudicato l’effettività dei soccorsi.
11.6 – Neppure vale, infine, invocare l’applicabilità nella fattispecie in scrutinio la risoluzione MSC 167 (78), nella parte in cui prevede che “una nave non dovrebbe essere soggetta a ritardi indebiti, oneri finanziari o altre correlate difficoltà dopo aver assistito le persone in mare; pertanto gli Stati costieri dovrebbero dare il cambio alla nave non appena possibile” (par. 6.3)”.
Difatti, tale previsione è fisiologicamente concepita con riferimento alle navi aventi una destinazione specifica e non risulta estensibile al caso delle navi delle ONG, come la Geo Barents, strutturalmente e stabilmente impiegate in viaggi privi di programmazione (la nave non effettua viaggi da un porto “A” ad un porto “B”), ma riceventi le “spedizioni” (autorizzazione a partire) dal porto di partenza verso la zona di mare antistante le coste libiche.
Conseguentemente, in tali casi la possibilità di distogliere le navi dalla loro rotta, cui fa cenno la risoluzione in discorso, è esclusa in partenza, proprio perché non ha una destinazione finale e quindi non è soggetta ai ritardi indebiti o agli ulteriori oneri finanziari che potrebbero pregiudicare i rispettivi interessi.
A ciò si aggiunga che la Geo Barents, pur essendo stabilmente impiegata in operazioni di pattugliamento nel Mediterraneo Centrale, non ha dimostrato di essersi munita, in accordo con il proprio Stato di bandiera, di un apposito Piano di coordinamento con gli Stati costieri interessati per il successivo sbarco in porto delle persone eventualmente soccorse, malgrado le chiare previsioni in tal senso della Ris. IMO MSC 167/78. A mente di tale risoluzione, “lo Stato di bandiera e lo Stato costiero dovrebbero avere delle efficaci disposizioni per la tempestiva assistenza per il comandante della nave, al fine di sbarcare le persone salvate” (cfr. par. 3.1), in coerenza col principio generale della cooperazione internazionale che permea le convenzioni in materia di SAR (Capitolo 3 della Convenzione SAR).
12 – L’accertamento della conformità al diritto internazionale dell’operato dell’Amministrazione e il mancato riconoscimento della pretesa sostanziale del diritto della ricorrente ad ottenere nella specie il porto sicuro nel luogo più vicino a quello del soccorso comportano la reiezione anche del secondo motivo dei ricorsi e dei motivi aggiunti, nella parte è stato lamentato il difetto di motivazione degli atti impugnati.
Al riguardo, risulta decisivo osservare che, come si desume dall’interpretazione logico-sistematica degli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. n. 662/1994 alla luce della Convenzione SAR, gli atti rilevanti nella fattispecie in scrutinio, pur essendo soggettivamente promananti da Pubbliche Amministrazioni, si caratterizzano oggettivamente:
– per la loro natura, rigorosamente legata all’adempimento degli obblighi di ricerca e di soccorso previsti dalla Convenzione da adempiere in situazioni di urgenza e stato di necessità per ragioni di sicurezza e ordine pubblico;
– per la loro struttura, che li rende assimilabili ad un insieme di operazioni urgenti; ne consegue che in tali casi l’applicazione del normale statuto del provvedimento non risulta compatibile con l’urgenza che connota funzionalmente la loro adozione e con il loro effetto utile in termini di adempimento degli obblighi convenzionali: si pensi, ad esempio, alla gravità delle conseguenze che deriverebbero per i migranti soccorsi in mare, ove si ritenessero le comunicazioni di assegnazione del porto di sbarco soggette al termine di adozione previsto dall’art. 2 della l.n. 241/1990 o al rispetto dell’obbligo di articolata motivazione, tenuto conto del tempo ordinariamente necessario a redigerla;
– per la loro funzione e le loro caratteristiche, che le rendono assimilabili alle ordinanze di polizia marittima concernenti la sicurezza e l’ordine pubblico in mare, previste dall’art. 59 reg.cod.nav. e come tali svincolate, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, dall’obbligo di motivazione: ricorre, infatti, anche nella fattispecie in scrutinio quell’ampia discrezionalità dell’autorità emanante “circa la individuazione delle precauzioni più idonee in relazione alla specifica situazione” e quella “ scelta tra i mezzi più idonei per assicurare la corretta gestione e la sicurezza” in mare, discrezionalità che porta la giurisprudenza a ritenere le ordinanze di polizia marittima sottratte allo svolgimento di un’articolata istruttoria in contraddittorio con gli interessati e all’obbligo di motivazione (cfr. ex multis Cons. St., V. n. 3227/2022; id., VI, n. 583/1995);
– il loro profilo effettuale, atteso che per tali provvedimenti il sindacato di legittimità rilevante si esplica non già nel verificare la pedissequa applicazione dello statuto del provvedimento amministrativo (con essi incompatibile), bensì unicamente nel loro scrutinio di conformità o meno con gli obblighi convenzionali, scrutinio che nella specie è sfociato in un giudizio di conformità: in tal senso, a ben vedere, in occasione della valutazione della legittimità delle operazioni di designazione del luogo sicuro compiuta nella specie, è stata verificata la corretta applicazione, da parte dell’Amministrazione, degli obblighi convenzionali e della corretta interpretazione della loro portata. Ne consegue l’irrilevanza degli aspetti conseguenti alla compiuta formalizzazione della motivazione delle opzioni adottate.
In ogni caso, anche a voler ritenere per gli atti contestati applicabile e rilevante l’obbligo di motivazione, le censure ricorsuali non potrebbero comunque essere accolte, tenuto conto: i) del rilievo per cui la designazione del Porto di La Spezia reca comunque una motivazione che, per quanto sintetica, è idonea a dare congruo conto dei “motivi di ordine e sicurezza pubblica” e delle “esigenze del sistema di accoglienza” contemperati dall’Amministrazione nel caso di specie e ad illustrare l’iter logico che ha guidato l’azione amministrativa (cfr. ex multis T.A.R. Veneto, I, n.1412/2019, secondo cui “l’obbligo di motivazione è da intendersi rispettato quando l’atto reca l’esternazione del percorso logico-giuridico seguito dall’amministrazione per giungere alla decisione adottata…indipendentemente dall’estensione della formula adoperata, che può essere anche estremamente sintetica, essa consente, sia pure in via sommaria, di risalire agli aspetti presi in esame dall’Amministrazione”); ii) comunque, con riferimento ad entrambe le assegnazioni avversate, della considerazione dell’infondatezza della pretesa relativa alla nozione luogo sicuro invocata e della corretta applicazione nella specie dei ridetti obblighi convenzionali, considerazione che giustifica l’applicazione nella specie del principio del raggiungimento dello scopo e della inconferenza di censure formali, in applicazione del principio stabilito dall’art. 21-octies, comma 2 della l.n. 241/1990.
13 – Altrettanto infondato risulta il terzo mezzo dei ricorsi e dei motivi aggiunti, con cui è stata lamentata la manifesta irragionevolezza e sproporzione degli atti impugnati, che sarebbero sfociati nella designazione di un porto di sbarco “gravosa”.
Al proposito, è sufficiente richiamare quanto già illustrato ai parr. 11.2, 11.3, 11.4, 11.5 e 11.6 sulla correttezza e sulla proporzionalità delle scelte compiute dall’Amministrazione avuto riguardo alla situazione concreta e cioè: i) alla prontezza della designazione del porto di sbarco; ii) all’assenza di situazioni di urgenza da parte dei migranti; iii) all’indisponibilità – puntualmente comprovata dalle allegazioni della difesa erariale non efficacemente confutata dalla ricorrente – dei centri di accoglienza nelle zone vicine a quella del luogo del soccorso, a causa della congestione da sovraffollamento dei migranti già ospitati; iv) allo smistamento dei migranti in zone non lontane dal luogo di sbarco; v) al tempo di permanenza dei migranti a bordo, analogo ad altre pregresse vicende in cui detta permanenza era dipesa dal ritardo della Geo Barents nel contattare le Autorità italiane.
A fronte di tali puntuali evidenze, le ricorrenti non hanno offerto alcun elemento tangibile a dimostrazione dell’aggravamento della condizione dei migranti, che era tale da non destare allarme. Neppure è stato enucleato il benché minimo riscontro in merito alla lamentata irragionevolezza delle determinazioni contestate.
Altrettanto infondata, infine, risulta la censura di irragionevolezza della decisione (v. nota 8/1/2023) con cui l’Amministrazione ha negato alla Geo Barents diretta verso il porto di Ancona la possibilità di trasbordare i 73 naufraghi a bordo sulla nave Ocean Viking (essa stessa diretta verso il porto di Ancona).
Sul punto, va evidenziato che il potere autorizzativo in materia apparteneva in via esclusiva alla competenza dell’autorità SAR coordinatrice al cui interno della Regione SAR è avvenuto il recupero. Pertanto l’autorità di soccorso italiana non era competente per fornire tale autorizzazione.
A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 1 comma 2-bis lett. d) del d.l. n. 130/2020, come modificato dal Decreto Legge n. 1/2023, “il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità è raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso”.
Non guasta, infine, rammentare i pericoli connessi all’operazione di trasbordo, soprattutto in presenza di condizioni meteomarine non favorevoli (come dichiarato dalla ricorrente), tali da esporre le persone recuperate ad inutili rischi.
14 – Ugualmente privo di pregio infine risulta il quarto mezzo dei ricorsi e dei motivi aggiunti, con cui è stato contestato l’eccesso di potere degli atti avversati, in quanto nella designazione dei porti di Ancona e di La Spezia le Autorità italiane avrebbero agito per rallentare l’azione di soccorso umanitario e per penalizzare i Comuni amministrati da forze politiche di opposizione a quelle di Governo.
Sul punto, è sufficiente rilevare che, ai fini dello scrutinio di legittimità degli atti impugnati, non possono assumere rilievo elementi da un lato esogeni e estranei rispetto agli stessi e dall’altro ex se inconsistenti, in quanto si esauriscono in generiche opinioni apprese da non meglio precisati “quotidiani nazionali”.
Oltre tutto, dette opinioni non risultano neppure confermate dall’esame della documentazione agli atti e trovano anzi puntuale smentita nelle puntuali deduzioni svolte dalla difesa erariale.
15 – In definitiva, entrambi i ricorsi vanno respinti in quanto sono infondati sulla base di quanto fin qui illustrato.
16 – Le spese legali seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), riuniti i ricorsi in epigrafe, come integrati da motivi aggiunti, definitivamente pronunciando sui medesimi così dispone:
– respinge i ricorsi e i motivi aggiunti;
– condanna l’Associazione Artsen Zonder Grenzen (Medicins San Frontières, Netherlands) e la società Uksnøy Barents Ks al pagamento delle spese di lite in favore delle Amministrazioni resistenti, liquidandole a carico di ciascuna parte ricorrente nella misura complessiva di euro 4.000,00, oltre ad oneri come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2023 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Sapone, Presidente
Luca Biffaro, Referendario
Massimiliano Scalise, Referendario, Estensore
