Massima e/o decisione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 13180 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Elisabetta Sorze, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Provincie n. 21;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
del provvedimento del Ministero dell’Interno del 31.3.15 notificato in data 06.09.2016, con il quale veniva decretato il diniego della concessione della cittadinanza italiana, prot. -OMISSIS-.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 maggio 2023 il dott. Raffaello Scarpato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La ricorrente, straniera di nazionalità libanese, impugna il decreto in epigrafe, con il quale è stata dichiarata inammissibile la sua istanza di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9 della L. nr. 91/1992.
A fondamento della declaratoria di inammissibilità, la Prefettura di Roma evidenzia una carenza di carattere documentale relativa al “certificato penale russo emesso dall’organo preposto, nel paese di origine, debitamente tradotto e legalizzato”, documentazione necessaria a dimostrare l’assenza di pregiudizi penali nel paese nel quale la stessa aveva soggiornato per il periodo dal 22.07.1985 al 08.09.1989.
In punto di fatto, la ricorrente rappresenta di essersi recata presso il consolato russo a Roma, ottenendo solo una certificazione che attestava l’impossibilità di evadere la richiesta, in quanto non proveniente da un cittadino russo, precisando di essere impossibilitata a recarsi in Russia per motivi di carattere familiare.
Tanto premesso, la ricorrente censura il provvedimento sotto i seguenti profili:
1) violazione del termine di conclusione del procedimento previsto dall’art. 3 D.P.R. 18.04 1994 n. 362;
2) difetto di motivazione, in quanto l’istante aveva partecipato al procedimento, procurandosi una dichiarazione del consolato russo attestante l’impossibilità di certificare il possesso del requisito, ed aveva prodotto un’autocertificazione concernente l’assenza di reati commessi in Russia, ritenuta dall’amministrazione non idonea a dimostrare la condizione di incensuratezza.
3) nullità del preavviso di rigetto, eccesso di potere e difetto di motivazione del decreto di rigetto, avendo la richiedente fattivamente partecipato al procedimento, senza tuttavia ottenere delucidazioni chiare in ordine alla motivazione del provvedimento negativo.
A seguito di reiterate ordinanze istruttorie, l’Amministrazione ha depositato una documentata e dettagliata relazione sui fatti di causa, chiedendo il rigetto del gravame.
All’udienza del 30.05.2023 il ricorso è stato introitato per la decisione.
Il ricorso è infondato e va respinto.
Emerge dagli atti di causa che il motivo della declaratoria di inammissibilità consiste nella mancata produzione, da parte della ricorrente, del certificato penale della Russia, paese nel quale la stessa aveva risieduto dal 22 luglio 1985 all’8 settembre 1989.
La carenza documentale è stata comunicata con nota del 26 gennaio 2011, riscontrata dalla ricorrente con missiva del 1 marzo 2011, con la quale l’istante ha dichiarato di non avere riportato alcun reato nell’URSS dal 1985 al 1989 e di non potere fornire alcun documento al riguardo in quanto l’Ambasciata Russa si era dichiarata incompetente, non essendo la richiedente una cittadina di quello Stato.
Alla missiva, la ricorrente ha allegato apposita dichiarazione dell’Ambasciata della Federazione Russa nella Repubblica Italiana del 3 settembre 2013, recante il seguente testo: “con la presente l’Ufficio consolare dell’Ambasciata della Federazione Russa in Italia dichiara che il Centro informativo Generale del Ministero dell’Interno della Federazione Russa, il Centro Informativo del Ministero dell’Interno per Mosca, il Centro informativo del Ministero dell’Interno per la regione di Mosca non dispongono delle informazioni relative ai procedimenti penali o amministrativi nei confronti della Sig.ra -OMISSIS-, nata il 02.11.1966 a -OMISSIS- (Libano), titolare del passaporto-OMISSIS-, rilasciato il 23.08.2011 dal commissariato della polizia, valido fino al 22.08.2016. Il presente Certificato è rilasciato a chi di competenza per uso consentito dalla Legge”.
Di rimando, la Prefettura ha invitato nuovamente la richiedente a produrre il certificato penale emesso dalla competente autorità in Russia e, non ottenendo riscontro, ha emesso il provvedimento in questa sede impugnato.
Il provvedimento risulta legittimo alla luce della normativa indicata dall’Amministrazione a fondamento della declaratoria di inammissibilità
Dispone al riguardo l’art. l’art. 1 comma 3, lettera d) del d.P.R. n. 362/1994, recante “disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana”, che l’istanza deve essere corredata da “certificazioni dello Stato estero, o degli Stati esteri, di origine e di residenza, relative ai precedenti penali ed ai carichi penali pendenti”.
Alla luce di tale disposizione risulta legittima la richiesta della Prefettura di produrre il certificato penale della Russia, paese nel quale la ricorrente ha risieduto dal 22 luglio 1985 all’8 settembre 1989.
L’assenza di condanne penali nel paese di residenza – adempimento funzionale all’accertamento sulla meritevolezza dell’interesse ad ottenere la cittadinanza italiana – non può essere dimostrata mediante lo strumento della dichiarazione sostitutiva di certificazione, di cui all’art. 46, comma 1, lett. aa) del d.P.R. 445/2000, con riferimento a precedenti penali commessi negli Stati esteri di origine e di residenza.
Tale possibilità è espressamente esclusa dall’art. art. 2 del medesimo d.P.R. 445/2000, che dispone: “i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione regolarmente soggiornanti in Italia, possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 limitatamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani. Al di fuori dei casi previsti al comma 2, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione autorizzati a soggiornare nel territorio dello Stato possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 nei casi in cui la produzione delle stesse avvenga in applicazione di convenzioni internazionali fra l’Italia ed il Paese di provenienza del dichiarante. Al di fuori dei casi di cui ai commi 2 e 3 gli stati, le qualità personali e i fatti, sono documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall’autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all’originale, dopo aver ammonito l’interessato sulle conseguenze penali della produzione di atti o documenti non veritieri.”.
La ricorrente è straniera di nazionalità libanese e non emerge dagli atti di causa, né è stato espressamente dedotto, che tra l’Italia ed il Libano siano in vigore convenzioni internazionali che disciplinino o autorizzino la presentazione di dichiarazioni sostitutive in materia di stati personali o di precedenti penali o carichi pendenti.
Ne consegue che la ricorrente avrebbe dovuto comprovare il requisito mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall’autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all’originale.
Tale adempimento non risulta soddisfatto, senza che possa attribuirsi valore scusante alle difficoltà di carattere familiare evocate dalla ricorrente, che oltre ad essere solo genericamente indicate, non sono supportate da alcun elemento probatorio di riscontro, nemmeno a livello indiziario.
Per tali ragioni il provvedimento risulta legittimo ed il ricorso deve essere respinto.
Le spese possono essere compensate in ragione della peculiarità della questione trattata.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2023 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Arzillo, Presidente
Anna Maria Verlengia, Consigliere
Raffaello Scarpato, Referendario, Estensore
