Tribunale di Roma, Decreto del 18 Marzo 2025. Riconosciuto lo status di rifugiato a cittadino nigeriano di fede cristiana, sulla base di elementi non valutati nella prima domanda
Con una significativa pronuncia, il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso presentato da un cittadino nigeriano, originario dello Stato di Edo ma cresciuto a Kaduna, riconoscendogli lo status di rifugiato ai sensi del d.lgs. n. 251/2007, in ragione della sua appartenenza religiosa e del concreto rischio di persecuzioni in caso di rimpatrio.
Il caso riveste particolare rilevanza in quanto la domanda esaminata dal Tribunale era una richiesta reiterata di protezione internazionale, precedentemente dichiarata inammissibile dalla Commissione Territoriale ai sensi dell’art. 29-bis, comma 1, del d.lgs. n. 25/2008. Già nel corso della prima audizione del 2018, il richiedente aveva riferito della propria fede cristiana e della provenienza dallo Stato di Kaduna, ma tali elementi erano stati ignorati nella motivazione del rigetto.
Nella domanda reiterata, il richiedente ha sottolineato sia la sua integrazione socio-lavorativa in Italia, sia i rischi specifici connessi alle persecuzioni perpetrate dal gruppo terroristico Boko Haram nei confronti dei cristiani in Nigeria, allegando documentazione e fonti a supporto.
Il Tribunale di Roma ha riconosciuto la novità rilevante degli elementi allegati, ritenendo che la Commissione, nella valutazione della prima domanda, non avesse adeguatamente considerato le informazioni relative alla religione e alla provenienza del richiedente. Esercitando il proprio potere istruttorio officioso, il giudice ha approfondito il contesto socio-politico della regione di Kaduna, attingendo a fonti autorevoli di carattere internazionale.
Nella motivazione del provvedimento, il Tribunale ha rilevato che: “Il rischio di subire nuove gravissime violazioni dei propri diritti fondamentali – a partire dal diritto alla vita e all’integrità fisica – deve ritenersi ancora attuale, nel caso di rientro del ricorrente nello Stato di Kaduna, in Nigeria, nel presente, considerato il quadro di persistente persecuzione descritto dalle fonti sopra citate e la circostanza che il ricorrente abbia continuato a praticare la sua fede, avendone anzi nel frattempo sperimentato la libera pratica in Italia.”
Il giudice ha altresì evidenziato come il rischio di persecuzione sia direttamente collegato all’appartenenza religiosa del richiedente, richiamando l’art. 8, comma 1, lettere a) ed e) del d.lgs. n. 251/2007, che include la religione tra i motivi che legittimano il riconoscimento dello status di rifugiato, in conformità alla Convenzione di Ginevra del 1951.
Nella nozione di “religione”, ha sottolineato il Tribunale, rientrano anche: “…le convinzioni teiste, non teiste e ateiste, la partecipazione a, o l’astensione da, riti di culto celebrati in privato o in pubblico, sia singolarmente sia in comunità, gli atti religiosi o le professioni di fede, nonché le forme di comportamento personale o sociale fondate su un credo religioso o da esso prescritte.”
