Massima e/o decisione
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4128 del 2022, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Emilio Sanchez De Las Heras, domiciliato presso il suo studio in Roma, via Machiavelli 25 e con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia,
per la riforma
della sentenza del Tar Lazio (Sezione Quinta bis) del -OMISSIS-, che ha accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento K10/549702 del 11 gennaio 2019 con cui la Prefettura della Provincia di Roma ha dichiarato inammissibile la domanda di concessione di cittadinanza formulata dallo straniero;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La Prefettura di Roma, con provvedimento del 11 gennaio 2019, per come meglio identificato in epigrafe, ha dichiaro l’inammissibilità della domanda volta al rilascio della concessione della cittadinanza italiana formulata, in data 3 febbraio 2016, dal sig. -OMISSIS-, cittadino del Bangladesh. L’istanza è stata dichiarata inammissibile in quanto, a seguito della comunicazione del 26 giugno 2018 dell’Ambasciata italiana a Dhaka, le legalizzazioni della documentazione presentata ai fini del rilascio della concessione, in particolare: certificato penale del paese d’origine e certificato di nascita, si erano dimostrate false.
Al riguardo occorre segnalare che, a seguito della diffusione del fenomeno di falsificazione delle legalizzazioni dei certificati di nascita e penali rilasciati dalle autorità bengalesi, allegati ad istanze di concessione della cittadinanza proposte da cittadini di suddetta nazionalità, il Ministero dell’Interno, per effettuare i necessari controlli e contrastare il fenomeno, si è procurato i nominativi e i relativi specimen delle firme dei funzionari competenti presso l’Ambasciata d’Italia a Dhaka, nonché le impressioni dei timbri nominativi e del timbro con il sigillo dello Stato apposti da questi ai fini della legalizzazione degli atti. Con il proseguire del fenomeno, il Ministero dell’Interno ha emanato la circolare n. -OMISSIS-, secondo cui “in caso di documentazione contraffatta, la presentazione di altra documentazione non genuina non sana la procedura, che si dovrà concludere invece con una dichiarazione di inammissibilità della medesima”.
Nel corso del procedimento volto al rilascio della cittadinanza, qui in esame, lo straniero ha prima ripetutamente presentato documentazione priva delle necessarie legalizzazioni. Invitato due volte a regolarizzare tale aspetto dalla competente autorità, lo straniero ha infine prodotto la documentazione legalizzata che, a seguito del controllo effettuato con l’Ambasciata, si è poi rivelata falsa. In particolare, l’Ambasciata italiana a Dhaka con la citata comunicazione ha rilevato che: «le percezioni sugli atti qui invitati per accertamento sono false e contraffatte in quanto non sono state emesse dalla scrivente Ambasciata d’Italia a Dhaka; gli estremi che ne consentono l’inequivoca identificazione (data di emissione, numero progressivo, nominativo) infatti non sono presenti nei registri consolari, né è qui conservata copia dell’atto legalizzato; il timbro e la firma dell’addetto consolare pro-tempore, nonché il timbro tondo dell’Ambasciata d’Italia a Dhaka, sono anch’essi falsi e contraffatti».
Conseguentemente, la Prefettura aveva ritenuto di adeguarsi alle indicazioni della citata circolare del Ministero dell’Interno n. -OMISSIS-, senza tenere in considerazione la documentazione successivamente depositata dal difensore dello straniero in data 10 dicembre 2018, in sede di risposta alla comunicazione ex art. 10 bis l. 241 del 1990.
2. Lo straniero ha impugnato tale provvedimento avanti il Tar Lazio, contestando in primis l’illegittimità dello stesso per violazione del principio di gerarchia delle fonti del diritto e per violazione degli artt. 1 e 2 D.P.R. n. 362/1994; in particolare, la p.a. avrebbe violato l’art. 2, comma 2, del D. Lgs n 362/1994, il quale sancisce che “Nel caso di incompletezza o irregolarità della domanda o della relativa documentazione, entro trenta giorni l’autorità invita il richiedente ad integrarla e regolarizzarla, dando le opportune indicazioni ed i termini del procedimento restano interrotti fino all’adempimento”, provvedendo viceversa direttamente alla comunicazione dei motivi ostativi al rilascio dell’istanza. Inoltre il provvedimento sarebbe illegittimo per l’ingiustificata mancata accettazione dei nuovi documenti prodotti in data 10 dicembre 2018 e la mancata considerazione nel provvedimento finale delle osservazioni effettuate dalla in data 20 dicembre 2018, in cui si era rappresentata la totale estraneità dell’istante alla vicenda che ha preceduto la presentazione dei documenti originali, la cui legalizzazione è poi risultata falsa, posto che “ i documenti presentati contestualmente alla presentazione dell’istanza erano autentici, risultando poi non genuini i timbri apposti sulla legalizzazione degli stessi effettuata da una agenzia di disbrigo pratiche per conto terzi di Dhaka che si spacciava per l’agenzia ufficiale incaricata dall’Ambasciata italiana” (cfr. p. 4 ricorso di primo grado). Conseguentemente, con un secondo connesso motivo di ricorso, lo straniero ha contestato altresì la violazione del citato art. 10 bis per mancata considerazione delle suddette osservazioni.
3. Il Tar Lazio con la sentenza qui impugnata, per come meglio identificata in epigrafe, ha accolto il ricorso ritenendo in particolare fondati i motivi volti a contestare l’ingiustificata mancata accettazione dei nuovi documenti prodotti dal ricorrente e la dichiarata estraneità dello stesso rispetto alla falsificazione dei timbri apposti in sede di legalizzazione dei certificati. Con riferimento a quest’ultimo profilo, non essendovi prova del contrario, il Tar ha ritenuto che il non consentire la regolarizzazione della documentazione si tradurrebbe in una violazione della normativa rilevante in materia ed in un’inaccettabile forma di responsabilità oggettiva nei confronti dello straniero richiedente. Il giudice di prime cure ha in particolare rilevato che per il prodursi delle conseguenze pregiudizievoli connesse alla presentazione di documentazione falsa è necessaria altresì la dimostrazione della consapevolezza dello straniero circa suddetta falsità, mentre il Ministero non avrebbe fornito alcun utile elemento volto a sconfessare la dichiarazione di estraneità effettuata dal richiedente. Conseguentemente, disapplicando la circolare ministeriale ritenuta illegittima e non vincolante, il Tar ha disposto l’annullamento del provvedimento impugnato.
4. Avverso la pronuncia del Tar ha proposto appello il Ministero dell’Interno, notificato in data 13 maggio 2022 e depositato il 19 maggio 2022, contestandone l’illegittimità e chiedendone la riforma per falsa applicazione dell’art. 2 D.P.R. n. 362/1994 e violazione dell’art. 75 D.P.R. n. 445/2000, tra l’altro, per aver illegittimamente dato rilievo all’elemento soggettivo del privato rispetto a tale falsità e contestando altresì l’erronea applicazione dell’art. 64 comma 1 c.p.a. per aver attribuito l’onere della prova in capo all’amministrazione e non allo straniero.
5. In data 10 giugno 2022 si è costituito lo straniero per resistere all’appello, con successivo deposito di documenti in data 29 settembre 2022.
6. Alla pubblica udienza del 10 novembre 2022 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello è fondato.
Occorre innanzitutto rilevare che, come esposto in narrativa e come risulta incontestato fra le parti, lo straniero ha presentato, nell’ambito della procedura volta al rilascio della concessione di cittadinanza italiana, documentazione priva di legalizzazione ed è stato, in due successive occasioni, invitato a regolarizzare la propria posizione. Solo a seguito della seconda richiesta di integrazione lo straniero ha prodotto la documentazione con le legalizzazioni rivelatesi poi contraffatte.
Per questo non può applicarsi, a differenza di quanto ritenuto dalla difesa dello straniero, il meccanismo del comma 2 del D.P.R. n. 362 del 1994, bensì quanto previsto dal successivo comma 3, ai sensi del quale “Qualora l’adempimento risulti insufficiente, o la nuova documentazione prodotta sia a sua volta irregolare, l’autorità dichiara inammissibile l’istanza, con provvedimento motivato, dandone comunicazione all’interessato ed al Ministero”.
Pertanto, non si può ravvisare alcuna violazione dell’art. 2, comma 2 della citata normativa ed anzi tale circostanza, contestata anche in sede di gravame dalla difesa ministeriale, risulterebbe già di per sé idonea a sorreggere il provvedimento di inammissibilità qui oggetto di impugnativa, tenuto conto che lo stesso richiama in particolare anche il comma 3 dell’art. 2 cit. Si ravvisa, viceversa, una certa malizia nell’atteggiamento tenuto dall’odierna parte appellata che, nelle proprie difese, sottace tale circostanza lamentando tuttavia i ritardi da parte dell’autorità nell’addivenire alla conclusione del procedimento in questione.
In ogni caso, si ritiene opportuno soffermarsi comunque sulle argomentazioni centrali poste a fondamento dell’appello da parte del Ministero avverso la sentenza di primo grado in quanto le stesse si rivelano fondate e meritevoli di accoglimento.
Come esposto in narrativa, la sentenza qui gravata ha essenzialmente ritenuto che la declaratoria di inammissibilità fosse illegittima per un duplice ordine di considerazioni:
(i) l’amministrazione avrebbe oggettivamente imputato le conseguenze di tale falsificazione in capo al ricorrente senza dimostrare, come avrebbe dovuto fare in base al principio di vicinanza della prova ex art. 64, comma 2 c.p.a., che lo straniero fosse effettivamente a conoscenza di tale falsità; (ii) illegittimamente l’amministrazione non avrebbe tenuto in considerazione, dando seguito ad una circolare che doveva viceversa ritenersi illegittima, del successivo del successivo deposito dei certificati con le legalizzazioni autentiche rilasciate dall’Ambasciata italiana.
Entrambe le censure non possono essere condivise.
Con riferimento al primo profilo, si osserva che l’obbligo di presentare documentazione autentica discende, oltre che dallo stesso art. 1 del D.P.R. n. 362 del 1994, da un canone generale di diligenza, autoresponsabilità e leale collaborazione fra le parti, per come da ultimo positivizzato in relazione a qualsiasi tipo di rapporto tra amministrazione e privati dall’art. 1, comma 2 bis della l. 241 del 1990.
Né si può condividere l’equiparazione compiuta dal giudice di prime cure fra l’ipotesi di incompletezza o irregolarità della documentazione a quella di presentazione di documentazione poi rivelatasi contraffatta; e la circostanza per cui la falsità riguardi la legalizzazione del documento piuttosto che il documento stesso non pare dirimente sotto questo profilo. Ciò che infatti si intende sanzionare, ed il dettato dell’art. 75 del D.P.R. 445 del 2000 si muove in questa direzione, è il fatto stesso di aver allegato documentazione rivelatasi poi, in seguito ad un controllo effettuato dall’amministrazione, contraffatta.
Sotto questo profilo, poi, non si può condividere l’opinione del Tar per cui, a fronte della verificata, e mai contestata, falsità delle legalizzazioni dei documenti richiesti, spetterebbe comunque all’amministrazione accertare e dimostrare la consapevolezza da parte dello straniero di suddetta falsità, a fronte della semplice allegazione da parte di quest’ultimo della propria estraneità circa l’illecita falsificazione.
Anche a non voler accedere alla più rigorosa interpretazione, pure richiamata dalla difesa ministeriale, che nega ogni rilevanza allo stato psicologico del dichiarante rispetto alla falsità stessa, resta in ogni caso valida la regola generale in materia di riparto dell’onere probatorio, sancita dall’art. 2697 c.c. Né può ad essa derogare un’impropria applicazione, per come operata dal giudice di prime cure, del principio di vicinanza della prova ai sensi dell’art. 64, comma 2 c.p.a.
La norma in questione, infatti, sancisce il principio dispositivo attenuato dal metodo acquisitivo che, tuttavia, deve essere correttamente interpretato e, come la stessa norma chiarisce, riguarda solo le ipotesi in cui l’amministrazione procedente sia nella disponibilità di documentazione utile ai fini istruttoria.
Nel caso di specie, viceversa, l’amministrazione è giunta ad accertare la falsità della documentazione in questione, in seguito ad un controllo specifico, svolto in cooperazione con l’ambasciata italiana a Dhaka, e non si capisce di quali ulteriori elementi avrebbe la disponibilità per verificare l’inconsapevolezza dello straniero.
Pur volendo riconoscere, alla luce delle particolari circostanze del caso, la possibilità per lo straniero di dimostrare la propria estraneità rispetto alla falsità riscontrata, vi è da dire che tale onere ricade, in maniera stringente ed esclusiva, sullo stesso e non certo sull’amministrazione procedente, proprio in ragione dei summenzionati e generali principi in materia di riparto dell’onere probatorio.
Da questo punto di vista, tuttavia, l’interessato non ha allegato nulla, al di là di generiche affermazioni, a sostegno della propria estraneità ed anzi le circostanze del caso concreto, opportunamente messe in rilievo dalla difesa ministeriale, rappresentano un ulteriore elemento di prova a sostegno della consapevolezza dello stesso circa la contraffazione delle legalizzazioni prodotte. Ci si riferisce, in particolare, alla circostanza per cui la documentazione successivamente prodotta in sede procedimentale, risulta essere stata richiesta all’Ambasciata italiana prima della comunicazione ex art. 10 bis con cui l’amministrazione procedente ha edotto il privato circa la riscontrata falsità. Laddove lo straniero fosse stato convinto della genuinità della documentazione prodotta, non avrebbe invero avuto alcuna ragione per attivare un’ulteriore richiesta di legalizzazione dei documenti con l’Ambasciata italiana.
Alla luce di quanto sopra, non può esser condivisa neppure l’ulteriore argomentazione del Tar secondo cui, in ogni caso, l’amministrazione avrebbe dovuto accettare la documentazione genuina successivamente prodotta in quanto il meccanismo di partecipazione procedimentale previsto dall’art. 10 bis l. 241 del 1990 non può divenire una sanatoria di precedenti comportamenti illeciti, tanto più ove, come nel caso di specie, la documentazione successiva non è stata in alcun modo corroborata dalla dimostrazione di inconsapevolezza circa il carattere contraffatto delle legalizzazioni inizialmente presentate.
In questo senso, invero, l’indicazione contenuta nella circolare ministeriale qui contestata non fa altro che ribadire un principio di carattere generale e che peraltro si pone pienamente in linea con l’esigenza generale di prevenire il rilascio di concessioni rispetto a cittadini che nell’ambito di tali istanze abbiano posto in essere comportamenti illeciti.
2. Per tutte le suesposte premesse l’appello va accolto e, per l’effetto, va riformata la sentenza di primo grado con conseguente conferma della legittimità del provvedimento originariamente impugnato.
In considerazione della materia in esame sussistono comunque ragioni per compensare le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza del Tar Lazio, n. 3020 del 16 marzo 2022, che annulla il provvedimento della Prefettura di Roma del 11 gennaio 2019, respinge il ricorso di primo grado.
Compensa le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellato.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2022 con l’intervento dei magistrati:
Michele Corradino, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore
Raffaello Sestini, Consigliere
Ezio Fedullo, Consigliere
