Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 10 luglio 2025, n. 6090 – Cittadinanza italiana e requisito reddituale – Rilevanza della condizione di disabilità
Con la sentenza in epigrafe, il Consiglio di Stato affronta nuovamente la delicata questione dell’incidenza della condizione di disabilità sul requisito reddituale richiesto per la concessione della cittadinanza italiana ex art. 9, l. 5 febbraio 1992, n. 91.
Un cittadino straniero aveva presentato istanza di naturalizzazione nel 2014. La domanda veniva rigettata dal Ministero dell’interno nel 2019 per insufficienza del reddito dichiarato, parametro valutato alla luce delle soglie individuate dall’art. 3, d.l. 25 novembre 1989, n. 382, conv. in l. 25 gennaio 1990, n. 8, nonché delle circolari ministeriali di prassi. Il T.A.R. Lazio respingeva il ricorso, ritenendo che l’amministrazione avesse correttamente applicato un criterio oggettivo ed uniforme, irrilevante rispetto alla condizione di invalidità del richiedente.
In sede di appello, l’interessato lamentava la mancata considerazione delle proprie condizioni di salute, che lo avevano reso invalido in epoca antecedente alla domanda, nonché degli sforzi compiuti per reinserirsi nel mondo del lavoro fino alla stabilizzazione con contratto a tempo indeterminato. Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello, annullando il provvedimento ministeriale e la sentenza di primo grado.
Secondo i giudici di Palazzo Spada, se è vero che il parametro reddituale costituisce requisito minimo indefettibile, la sua applicazione rigida può tradursi in una discriminazione indiretta in danno dei soggetti inabili al lavoro, in contrasto con l’art. 3, comma 2, Cost., che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l’uguaglianza sostanziale.
Il Collegio ha richiamato la giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sent. n. 258/2017) secondo cui la condizione di disabilità non può costituire un ostacolo all’accesso a diritti fondamentali, tra cui la cittadinanza, valorizzando la funzione prognostica della valutazione amministrativa: non solo verifica ex post della capacità reddituale, ma considerazione delle prospettive concrete di reinserimento lavorativo e integrazione sociale.
In tale prospettiva, la progressiva ripresa dell’attività lavorativa dell’appellante e la sua assunzione stabile nel 2020 rappresentavano indici qualificanti di autonomia economica, tali da soddisfare lo scopo sostanziale del requisito reddituale.
La pronuncia si colloca nel solco di un’evoluzione giurisprudenziale più attenta alla condizione personale dei richiedenti e al rispetto dei principi costituzionali di eguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.) e tutela dei soggetti inabili (art. 38 Cost.). Essa conferma che il requisito reddituale, pur essendo elemento imprescindibile, non può essere interpretato in modo meccanico e formalistico, pena la creazione di un filtro discriminatorio per i disabili. L’amministrazione è dunque tenuta a un’istruttoria che tenga conto delle peculiarità del caso concreto e delle prospettive realistiche di autosufficienza economica.
La decisione, inoltre, valorizza il principio del “pieno sviluppo della persona umana” quale fondamento della cittadinanza, intesa non solo come status giuridico, ma come strumento di integrazione sociale.
