CORTE ERUPERA DEI DIRITTI DELL’UOMO – RICORSO N.21768/2019 – ART. 8 – TUTELA DELLA VITA PRIVATA – SINTESI: Gli obblighi positivi a tutela della vita privata (art. 8 CEDU) impongono alla Svizzera di rilasciare un permesso di soggiorno allo straniero ottuagenario che risiede da oltre 50 anni nel Paese, anche se negli ultimi vent’anni tale soggiorno è stato irregolare e l’interessato non ha mai ottemperato all’ordine di allontanarsi dal territorio nazionale né l’espulsione, pur disposta, è stata mai eseguita.
Massima
La questione sottoposta alla Corte riguarda i presupposti per la sussistenza, in capo agli Stati, di un obbligo positivo ai sensi dell’art. 8 CEDU di rilasciare un permesso di soggiorno a un cittadino straniero che risiede irregolarmente sul loro territorio nazionale.
Il ricorrente è un cittadino iraniano di 83 anni, che risiede illegalmente in Svizzera. Egli è giunto legalmente nel Paese nel 1969, ottenendo un regolare permesso di soggiorno e, dal 1979, anche un titolo di soggiorno permanente. In Svizzera ha stabilito la propria vita familiare, sposando una donna dalla quale avrebbe in seguito divorziato e avendo anche due figli. Nonostante ciò, tra il 1988 e il 2004 il ricorrente è condannato a diverse pene detentive per un totale di circa cinque anni per vari reati e, nel 1999 è destinatario di un ordine di espulsione. L’espulsione non viene tuttavia mai eseguita, né il ricorrente ottempera ai diversi ordini di lasciare il territorio nazionale (anni 2000, 2003 e 2011). Nel 2008 e, nuovamente, nel 2015 il ricorrente chiede senza successo all’Ufficio immigrazione di revocare l’ordine di espulsione e di rilasciargli un permesso di soggiorno per pensionati. Nel dicembre 2018 è infine destinatario di un nuovo ordine di allontanamento al quale non ottempera.
La Corte esamina il caso alla luce del diritto alla vita privata protetto dall’art. 8 CEDU. Esclude invece la sussistenza di una vita familiare nel senso inteso dalla disposizione. Infatti, il ricorrente è divorziato, né rileva la presenza dei figli ormai adulti. Nonostante la sua età avanzata, il ricorrente conduce una vita autonoma nel quotidiano, cosicché non sussiste alcun elemento di dipendenza nei confronti dei suoi figli maggiorenni che avrebbe potuto rilevare ai fini dell’esame della vicenda anche nella prospettiva dell’ingerenza nella “vita familiare” dell’interessato.
La Corte passa quindi ad accertare se, nel caso di specie, la Svizzera avesse un obbligo positivo di rilasciare un permesso di soggiorno al ricorrente, consentendogli così di restare regolarmente sul territorio. In base ai principi elaborati dalla giurisprudenza, quando uno straniero ha stabilito la propria vita privata nel territorio di uno Stato soggiornandovi illegalmente, il successivo rifiuto di rilasciare un permesso di soggiorno determina una violazione dell’art. 8 CEDU solo in circostanze eccezionali. A tal riguardo, la Corte esamina tutti i diversi elementi rilevanti, quali la durata complessiva del soggiorno, la condotta del ricorrente (sia sotto il profilo dei precedenti penali che di quello della sua “malafede” nel non ottemperare agli ordini di allontanamento) e la condotta dello Stato che, pur avendo disposto l’espulsione del ricorrente, non vi ha per anni dato esecuzione.
La Corte evidenzia, in particolare, che la durata complessiva del soggiorno del richiedente non può avere lo stesso peso nella valutazione che avrebbe avuto se egli fosse sempre stato in possesso di un permesso di soggiorno valido. Tuttavia, il ricorrente ha stabilito stretti legami con la Svizzera negli oltre trent’anni di soggiorno regolare risalenti al periodo in cui aveva soggiornato legalmente dopo il suo arrivo nel Paese; vi ha vissuto per la maggior parte della sua vita, durante la quale ha avuto anche dei figli e, più tardi, dei nipoti, a cui sostiene di essere molto legato; si è integrato dal punto di vista lavorativo, tanto da maturare un diritto alla pensione; è rientrato nel Paese di origine solo occasionalmente; è di età molto avanzata. La Corte conclude che, pertanto, pur trattandosi di adulto non sposato, autosufficiente ed economicamente indipendente, il ricorrente, ove costretto a rientrare in Iran, andrebbe incontro certamente a una situazione molto complicata, con diverse difficoltà a integrarsi nuovamente, tenendo anche conto che nessuno dei suoi familiari vive più nel Paese. Inoltre, pur avendo commesso reati gravi in passato, il ricorrente non ha più delinquito in seguito, né la Svizzera si è prodigata per eseguire l’espulsione negli ultimi vent’anni.
Le autorità nazionali dello Stato convenuto non hanno esaminato accuratamente tutti questi elementi e hanno attribuito un peso eccessivo all’interesse pubblico nell’ambito del bilanciamento richiesto dall’art. 8 CEDU. Alla luce di queste considerazioni, la Corte conclude all’unanimità che non concedendo al ricorrente il permesso di soggiorno per continuare a risiedere legalmente nel Paese, la Svizzera ha violato il suo diritto alla vita privata protetto dalla Convenzione.
L’accertamento della violazione è ritenuto di per sé satisfattivo dei danni non pecuniari subiti dal ricorrente.
