Massima e/o decisione
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1545/2021 R.G. proposto da:
-OMISSIS-, elettivamente domiciliato in -OMISSIS- presso lo studio dell’avvocato -OMISSIS- che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso lo studio dell’avvocato AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO. (ADS80224030587) che lo rappresenta e difende
-resistente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2517/2020 depositata il 26/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/11/2022 dal Consigliere MARIA ACIERNO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La Corte di Appello di Roma, confermando l’ordinanza emessa il 13.09.2018 dal Tribunale di Roma, ha rigettato, per quel che ancora interessa, le domande presentate da -OMISSIS-, originario della Repubblica Popolare Cinese, dirette al riconoscimento della protezione sussidiaria ex artt. 14 e ss. D.lgs. 251/2007 nonché in via gradata della protezione umanitaria ex art. 5, comma 6, D.lgs. 286/1998.
A sostegno della decisione, la Corte di Appello di Roma ha ritenuto relativamente alla domanda di protezione sussidiaria, che, dalla vicenda esposta, non risultasse il rischio effettivo di essere sottoposto nel Paese di origine a tortura ovvero trattamenti inumani o degradanti. Nel caso in esame il richiedente, in sede di audizione, aveva dichiarato di essere cristiano evangelico, appartenente alla Chiesa di Dio Onnipotente dal 2013, e che dopo quell’anno il governo cinese aveva arrestato molti fedeli sottoponendoli a torture – tra cui tre suoi confratelli -, motivo per il quale aveva deciso di abbandonare il Paese.
La Corte di Appello di Roma, riportandosi al report C.O.I. del 19.03.2019 ha evidenziato che la Chiesa di Dio Onnipotente appartiene alle categorie dei culti vietati o maligni, gruppi illegali classificati e denominati dalla dottrina cinese “black market”, che operano segretamente. Secondo la Corte territoriale questa caratteristica giustifica il regime giuridico persecutorio perché l’ordinamento deve poter conoscere le caratteristiche fondamentali delle associazioni anche di tipo religioso, così da rendere trasparenti e riconoscibili metodi e scopi. In Cina vi sono culti ammessi e culti tollerati, essendo pertanto garantita alle associazioni religiose non segrete la libertà di culto.
Relativamente alla domanda di protezione umanitaria, da un lato la Corte di Appello ha evidenziato la non sussistenza di violazioni di diritti umani del richiedente né al momento di espatrio né in caso di rimpatrio, dall’altro ha sottolineato la non configurabilità di situazioni di soggettiva di vulnerabilità, nonché la mancata integrazione sociale, lavorativa e culturale nel territorio italiano.
2. Contro la sentenza della Corte di Appello di Roma, il cittadino straniero ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi di ricorso.
3. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione orale della causa.
4. Nei tre motivi di ricorso il cittadino straniero ha lamentato:
nel primo, la violazione degli artt. 14, co.1, lett. b) e 3, co. 3, lett. a) D.Igs. 251/2007, degli artt. 2, 3, 5, 8, 9 CEDU, dell’art. 27, co. 1bis D.lgs. 25/2008, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio, nella parte in cui il Giudice d’Appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria senza alcuna valutazione circa la sussistenza dell’esistenza del danno grave; in particolare il ricorrente riconduce ad una percezione meramente soggettiva la limitazione della scelta di professare liberamente la propria religione senza essere esposto ai rischi di cui all’art. 14 lettera b) ma al contrario il pericolo del danno grave consiste proprio nella valutazione di radicale illiceità sanzionabile penalmente del culto religioso professato;
nel secondo, la violazione degli artt. 14 e 3, co. 3, lett. a) e b) D.lgs. 251/2007, degli artt. 3 e 7 CEDU, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, avendo il Giudice d’Appello rigettato il riconoscimento della protezione sussidiaria sulla base di un giudizio prognostico futuro ed incerto e non sullo stato effettivo ed attuale del Paese di origine, ritendendo dunque che non vi fosse un pericolo generalizzato avendo sostenuto che la libertà religiosa potesse esprimersi attraverso l’adesione ad un culto ammesso o tollerato;
nel terzo, la violazione in combinato disposto di cui agli artt. 5, co. 6, e 19, co. 1 D.Igs. 286/1998, dell’art. 3, co. 3 lett. c) e co. 4 D.Igs.251/2007, nonché l’illogicità, contraddittorietà ed apparenza della motivazione per avere la Corte rigettato la richiesta di protezione umanitaria senza operare un esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine.
5. I primi due motivi di ricorso sono fondati. La libertà religiosa non può essere limitata ai culti consentiti o tollerati dal momento che la legittima ingerenza dello Stato al riguardo deve essere non solo prevista dalla legge ma anche diretta a perseguire fini legittimi oltre a dover rispettare il parametro della proporzionalità ex art. 9 CEDU e 19 Cost. L’osservanza di questi stretti criteri di legittimità dell’ingerenza non può essere desunta dalla sola previsione legale di un divieto normativo e dalla qualificazione come segreta di una professione legislativa, senza esplorare le ragioni giustificative del regime giuridico adottato alla luce dell’intero ordinamento giuridico del Paese di origine e del fondamento democratico o antidemocratico della struttura statuale. Nella specie non è contestato che la professione religiosa de ricorrente sia penalmente perseguita ed anche in modo brutale mediante l’esposizione a torture o trattamenti detentivi inumani o degradanti. Nello stesso tempo nessun elemento diverso dalla segretezza della associazione religiosa è stato posto in luce nel provvedimento impugnato per sostenere la legittimità di un tale sistema repressiva. Ne consegue che il riconoscimento della protezione sussidiaria richiesta non può essere escluso solo perché la repressione statuale, viene giustificata in quanto diretta a vietare le associazioni a carattere segreto (Cass. 35102 del 2021; 23805 del 2022; 35526 del 2022).
La sentenza del Giudice d’Appello non ha fatto buon governo dei principi sopra esposti, non avendo valutato in concreto la natura e le ragioni dell’ingerenza dello Stato cinese, peraltro consistenti nella repressione penale, nell’effettivo esercizio della libertà religiosa che non può limitarsi alle professioni consentite e tollerate.
La segretezza dell’associazione religiosa ed il divieto di professare la religione prescelta, costituiscono di per sé limiti illegittimi al diritto di libertà religiosa come chiaramente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte: “in tema di protezione internazionale, la nozione di libertà religiosa comprende la libertà del cittadino di praticare fedi religiose non ammesse dallo Stato, senza subire intimidazioni e costrizioni che, in quanto tali, possono configurarsi come atti di persecuzione, ai sensi degli artt. 7 e 8, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 251 del 2007, anche se posti in essere dalle autorità statali o con provvedimenti di tipo legislativo, amministrativo, giudiziario o di polizia” (Cass. Civ. Ord. 23805/2022).
La mancata attivazione del sistema repressivo nei confronti del ricorrente non esclude la riconducibilità della vicenda narrata nella fattispecie normativa di cui all’art. 14 lettera b) d.lgs. n. 251 del 2007, dovendo ritenersi per la sua appartenenza, non messa in dubbio dal giudice del merito, al credo religioso prescelto esposto al rischio previsto dalla norma. Ne consegue che, il Giudice di merito ha erroneamente trascurato non solo i fatti pertinenti ovvero riguardanti il Paese di origine, ma per di più non ha vagliato il rischio concreto del richiedente di essere sottoposto, in caso di rimpatrio – in contrasto con l’art. 14, co. 1, lett. b) D.lgs. 251/2007 – a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni della propria persona.
6. Il terzo motivo di ricorso è assorbito.
7. In conclusione dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, consegue la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, affinché si adegui ai principi di diritto sopra indicati e si pronunci altresì sulle spese processuali relative alla fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione perché provveda, anche, sulle spese processuali del presente giudizio.
