La vicenda che aveva coinvolto la Dott.ssa Iolanda Apostolico, magistrata del Tribunale di Catania, è emblematica delle tensioni tra esercizio della funzione giurisdizionale, salvaguardia dei diritti fondamentali ed attività di indirizzo politico-governativo in materia di diritto dell’immigrazione.
Al centro della controversia vi era la legittimità, sia formale che sostanziale, della presunzione di “sicurezza” attribuita alla Repubblica di Tunisia ai fini dell’applicazione delle misure di respingimento accelerato previste dal c.d. “Decreto Cutro” (D.L. 20/2023, convertito con modificazioni dalla L. 50/2023).
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con una pronuncia destinata a segnare un punto fermo nell’interpretazione (rectius applicazione) dell’art. 38 della Direttiva 2013/32/UE (Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), ha ulteriormente chiarito che l’inserimento di un Paese terzo nella lista degli Stati “sicuri” non può avvenire in assenza di un controllo giurisdizionale effettivo e che la mera qualificazione ex lege non può prevalere su un’analisi concreta, individualizzata e basata su criteri oggettivi di tutela dei diritti umani fondamentali.
La pronuncia della Corte ha sostanzialmente convalidato il nucleo motivazionale dei provvedimenti emessi, illo tempore, dalla Dott.ssa Apostolico, stabilendo che:
L’attribuzione dello status di “Paese sicuro” deve fondarsi su un’analisi dettagliata e fattuale delle condizioni di sicurezza e del rispetto dei diritti umani nel Paese terzo, anche in riferimento alle convenzioni internazionali ratificate e rispettate da quest’ultimo;
In assenza di un simile vaglio, la presunzione legislativa lede il diritto di difesa del richiedente protezione internazionale, in violazione dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea;
La presunzione generalizzata di sicurezza per la Tunisia è incompatibile con gli obblighi derivanti dal diritto europeo, in quanto omette del tutto di considerare il rischio concreto di trattamenti inumani e degradanti, segnalato da numerosi rapporti internazionali indipendenti.
La Corte ha quindi ribadito che lo Stato di diritto non può tollerare scorciatoie normative che, in nome di presunte esigenze di sicurezza e controllo migratorio, sacrifichino i capisaldi della legalità costituzionale ed europea.
In suddetto contesto, emerge con maggiore chiarezza, che l’operato della giudice Apostolico si era mosso lungo una direttrice di rigoroso rispetto delle fonti e dei principi costituzionali ed eurounitari. La disapplicazione parziale del Decreto Cutro, nella parte in cui qualificava la Tunisia come “Paese sicuro”, non rappresentava un atto di arbitrario attivismo giudiziario, bensì l’esercizio legittimo e doveroso della funzione giurisdizionale, ai sensi dell’art. 11 Cost. in combinato disposto con gli artt. 10, 24, 111 e 117 Cost.
Lungi dall’essere motivata da convinzioni ideologiche, personalistiche o da velleità succedanee al potere legislativo, la scelta giurisdizionale era fondata su una valutazione equilibrata e concreta della condizione individuale del richiedente e della correlativa inadeguatezza del sistema tunisino di asilo e protezione, come peraltro attestato da fonti autorevoli, tra cui Amnesty International, Human Rights Watch, UNHCR.
Va ulteriormente ribadito che la magistratura non ha il compito di adagiarsi o recepire acriticamente le indicazioni del potere politico, ma, ben diversamente, il preciso dovere di garantire che l’azione normativa sia conforme e speculare ai principi costituzionali, nonché agli obblighi internazionali ed europei che vincolano l’Italia.
È in tale quadro che deve essere ri-letto il violento attacco politico e mediatico cui era stata sottoposta la dott.ssa Apostolico. In particolare, i ministri Salvini e Nordio, nonché la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, avevano bollato l’operato della magistrata come “ideologico”, “sovversivo” o “militante”, alimentando una narrazione tossica e polarizzata, evidentemente mirata a delegittimare la funzione giurisdizionale, poiché non allineata all’indirizzo politico-governativo.
Tali dichiarazioni, oltre a rivelare una concezione profondamente autoreferenziale e disfunzionale dell’equilibrio tra i poteri dello Stato, avevano fomentato un clima di discredito nei confronti della giudice, fors’anche esponendola a un isolamento istituzionale inaccettabile in un ordinamento civile e democratico.
Si era giunti perfino alla indebita diffusione di immagini e video privati, del tutto estranei all’attività giudiziaria, con il verosimile intento di colpirne l’onorabilità e la reputazione personale, in aperta violazione dell’art. 3 Cost. e dei più elementari principi deontologici.
È lapalissiano che tale strategia di delegittimazione personale costituisce una deviazione gravissima ed un pericolosissimo vulnus alla dialettica costituzionale, fondandosi non già su una critica giuridicamente argomentata, bensì sulla artificiosa costruzione di un nemico interno da indicare ed immolare all’opinione pubblica.
L’uscita anticipata dalla magistratura della dott.ssa Apostolico – che potrebbe anche esser motivata da un comprensibile senso di isolamento e mancanza di tutela da parte delle istituzioni – rappresenta una sconfitta per lo Stato di diritto e un monito per l’intera comunità giuridica. Essa rivela come, in assenza di un’effettiva cultura della legalità istituzionale e costituzionale, anche le più alte garanzie giurisdizionali possano essere erose dalla pressione politica e dalla narrazione mediatica.
Resta il fatto che la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE segna una vittoria postuma e inequivocabile della legalità, restituendo piena dignità all’operato della giudice e riaffermando con forza che il diritto interno ed europeo, i suoi valori fondamentali non sono personalizzabili o altrimenti negoziabili.
Non si tratta solo di una questione ermeneutico-interpretativa, ma dell’essenza stessa del giuramento che ogni magistrato presta alla Costituzione. In un proscenio sempre più segnato da derive securitarie e pulsioni autoritarie, questa vicenda dimostra che la tutela dei diritti fondamentali è divenuta la cartina di tornasole della tenuta democratica dell’intero ordinamento.
Avv. Giovanni Lombardo
