Tar Lazio-Sentenza n.4266 del 13 Marzo 2023-Cittadinanza e Apolidia-Diniego P.A.-Legittimità.
Massima e/o decisione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10425 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Sabrina Turello, con domicilio eletto ex art. 25, comma 1, lett. a), cod. proc. amm., presso la Segreteria dell’Intestato Tribunale in Roma, via Flaminia, n. 189;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
del decreto del Ministero dell’Interno prot. n.-OMISSIS- del 30 giugno 2017, di respingimento della domanda di concessione della cittadinanza italiana avanzata dal ricorrente in data 19 luglio 2010, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2023 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del decreto ministeriale prot. n.-OMISSIS- del 30 giugno 2017, con il quale il Ministero dell’Interno ha respinto la domanda di concessione della cittadinanza italiana avanzata dal ricorrente in data 19 luglio 2010, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, essendo emerso dal rapporto informativo della Questura di-OMISSIS- in data 27 settembre 2013, la convivenza dell’istante con quattro connazionali di cui uno gravato da varie segnalazioni penali e di polizia per resistenza a pubblico ufficiale, violazioni della proprietà intellettuale, ricettazione, introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, falsi in genere, nonché una condanna per rapina, lesioni personale e minaccia del 2 settembre 2011.
Lamenta in sintesi il ricorrente l’illegittimità del provvedimento gravato per eccesso di potere, non potendo imputarsi alla propria persona i precedenti penali di altro soggetto non legato da alcun vincolo di parentela.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con atto di mera forma.
All’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2023, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato e va respinto.
Sul punto il Collegio osserva quanto segue in merito alla natura del provvedimento di concessione della cittadinanza alla luce della giurisprudenza in materia, di recente sintetizzata dalla Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), secondo cui l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.
Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013).
L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.
Se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.
In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.
La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.
In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021; n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009; Cons. St., sez. III, n. 4121/2021; n. 8233/2020; n. 7122/2019; n.7036/2020; n. 2131/2019; n. 1930/2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n. 798/1999).
Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo, ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.
Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino; il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n.4862/2010; n. 3456/2006; TAR Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).
Applicando le coordinate tracciate al caso in esame, ritiene il Collegio infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione del ricorrente, dando rilievo alle numerose segnalazioni penali ed ai reati a carico del concittadino con il medesimo convivente al momento della presentazione della domanda di cittadinanza, che rappresentano un chiaro indice sintomatico di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano.
In tale prospettiva, la circostanza che i numerosi precedenti penali vagliati dall’Amministrazione non riguardino specificatamente la ricorrente, bensì il concittadino convivente, non intacca a giudizio del Collegio la legittimità del diniego impugnato, risultando i rapporti di convivenza prolungata sotto lo stesso tetto (nel caso in esame fino al 4.3.2016, data in cui il ricorrente ha fatto cessare la predetta circostanza, solo a seguito della recezione della nota del 24.2.2016, con cui gli veniva comunicato ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 che costituiva motivo ostativo all’accoglimento dell’istanza di naturalizzazione), seppur non basati su rapporti di familiari o di parentela, possibili indici dell’esistenza di una comunanza di relazioni anche soltanto di carattere solidale, ovvero a titolo di amicizia e/o simpatia, che potrebbero indurre l’interessato ad agevolare, anche soltanto per ragioni appunto di mera connivenza, comportamenti ritenuti in contrasto con l’ordinamento giuridico, che ne inficiano le prospettive di ottimale inserimento in modo duraturo nella comunità nazionale.
Confermano, in particolare, una situazione “critica” nell’ambito del contesto abitativo di riferimento, non soltanto le plurime segnalazioni penali a carico del convivente, ma anche i reati di rapina, lesioni personale e minaccia per i quali quest’ultimo è stato condannato, che sono particolarmente indicativi d’indole dell’autore, che il ricorrente, data la prolungata convivenza con il predetto, non poteva ignorare, tenuto conto del fatto che, comunque, l’aver dato ospitalità è suscettibile di agevolare la permanenza sul territorio nazionale di soggetto e che, nel giudizio di meritevolezza della naturalizzazione, rilevano anche le cd. frequentazioni controindicate (a maggior ragione ove caratterizzate dal particolare grado di intimità che si ha nella condivisione dello spazio di vita ed abitazione).
Trattasi, a ben vedere, di comportamenti particolarmente rilevanti ai fini della formulazione di un giudizio prognostico negativo relativo all’utile inserimento dell’aspirante cittadino, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza in materia condivisa dalla Sezione (cfr., T.A.R. Lazio, Roma, Sez. V bis, 2 maggio 2022, n. 5351), in quanto colpiscono il patrimonio, la salute della persona e l’incolumità pubblica e privata.
Occorre d’altra parte rilevare come la considerevole attività criminosa svolta dal convivente del ricorrente, induce a ritenere non inverosimile che quest’ultimo, proprio in ragione della convivenza prolungata sotto lo stesso tetto, possa aver avuto contezza, seppur in parte, di detta attività criminosa, ovvero beneficiato anche indirettamente dei proventi di detta attività.
Si rende opportuno osservare, inoltre, che la difesa della parte ricorrente non contesta la sussistenza dei fatti indicati, limitandosi ad invocare la sussistenza della residenza in Italia da oltre un decennio e l’asserito inserimento nel contesto sociale, ritenendo che tali circostanze siano sufficienti al rilascio della cittadinanza: tali argomentazioni difensive, tuttavia, non appaiono idonee a scalfire il giudizio svolto dall’Amministrazione, non avendo del resto l’istante offerto elementi che possano integrare meriti speciali, atteso che lo stabile inserimento, anche nella realtà economica, se, per un verso, rappresenta una condizione del tutto ordinaria, in quanto costituisce solo il presupposto per conservare il titolo di soggiorno, per altro verso rappresenta soltanto il prerequisito per la concessione della cittadinanza alla stregua di quanto sopra osservato.
Difatti, il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione presuppone l’accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazionale e non già sul semplice riferimento dell’interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze.
Il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile (salvi i casi di revoca normativamente previsti), presuppone, altresì, che “nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657).
D’altronde, la particolare cautela con cui l’Amministrazione valuta la rilevanza di condotte antigiuridiche è compensata dalla facoltà di reiterazione dell’istanza che l’ordinamento riconosce al richiedente una volta mutate le condizioni oggettive sottese all’esito negativo originario.
Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.
Tenuto conto della novità della questione trattata e della costituzione soltanto formale dell’Amministrazione intimata, si rinvengono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2023 con l’intervento dei magistrati:
Floriana Rizzetto, Presidente
Enrico Mattei, Consigliere, Estensore
Gianluca Verico, Referendario
