Massima e/o decisione
ORDINANZA EX ART. 700 c.r.c,
nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. 17732/2023 procedimenti speciali sommari promossa da -OMISSIS- in proprio e in qualità di padre esercente la responsabilità
genitoriale sui figli minori -OMISSIS- rappresentati e difesi dall’avv. Loredana Leo ed elettivamente domiciliati in Roma, -OMISSIS- presso lo studio del difensore
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MINISTERO DELLA DIFESA e AMBASCIATA D’ITALIA TASHKENT (UZBEKISTAN), con domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ex lege
– resistente –
Oggetto: ricorso ex art. 700 c.p.c. avverso silenzio su rilascio visto per motivi umanitari.
Con ricorso cautelare depositato in data 29.03.2023, -OMISSIS- cittadini afghani tutti attualmente residenti a Kabul con l’eccezione di -OMISSIS- il quale attualmente si trova in Tagikistan, hanno chiesto l’accertamento del proprio diritto al rilascio di un visto d’ingresso in Italia per motivi umanitari, previo accertamento dell’illegittimità del silenzio serhato dall’Ambasciata d’ Italia a Tashkent (Uzbekistan) cui la relativa richiesta è stata inoltrata via PEC in data 28.07.2022.
I ricorrenti hanno dedotto, sotto il profilo del fumus boni iuris, il proprio diritto ad ottenere un visto d’ingresso in Italia per motivi umanitari ai sensi dell’art. 10, c. 3 della Costituzione e dell’art. 25 del Regolamento (CE) n. 810/2009, valorizzando a tal fine lo stretto legame del primo ricorrente (e per suo tramite dell’intero nucleo familiare) con l’Italia, Paese nel quale egli ha vissuto per diversi anni, ha studiato conseguendo la laurea in giurisprudenza e ha frequentato diversi corsi di specializzazione e formazione quale militare in forze all’esercito afghano coinvolto nella collaborazione con le forze NATO e in particolare italiane; in Italia infine si trova attualmente il padre di -OMISSIS- evacuato tramite un volo umanitario partito da Kabul nell’agosto 2021 che era stato predisposto anche per lo stesso ricorrente ma sul quale quest’ultimo non è potuto salire a causa dell’impossibilità di raggiungere Kabul per la situazione di insicurezza del Paese, trovandosi all’epoca per ragioni di servizio nella Valle del Panjshir per difendere tale territorio dall’avanzata dei talebani.
Sotto il profilo del periculum in mora, i ricorrenti hanno dedotto la precarietà del soggiorno di -OMISISS- in Tagikistan e il rischio di essere rimpatriato in Afghanistan, dove sarebbe esposto al pericolo di subire una persecuzione personale a causa della sua passata attività di lotta al terrorismo e, nello specifico, contro le forze talebane, nonché i rischi corsi dal resto del nucleo familiare, composto da una donna sola con cinque figli minori, di età compresa tra i quattordici e i neppure due anni, rimasti a Kabul.
L’Amministrazione resistente si è costituita in giudizio in data 14.04.2023, in primo luogo eccependo l’inammissibilità dell’avverso ricorso, stante la ritenuta inidoneità della domanda inoltrata dai ricorrenti via posta elettronica certificata a configurare una richiesta di visto in via amministrativa, e in ogni caso chiedendo il rigetto per infondatezza della domanda, stante l’insussistenza nel caso di specie sia del fumus boni iuris, sia del periculum in mora.
Il Giudice ha fissato udienza per il giorno 19.04.2023, svoltasi alla presenza dei difensori delle pani. Il procedimento è stato in seguito rimesso sul ruolo in vista delle udienze in presenza del 17.05.2023 e del 24.05.2023. All’esito di tale ultima udienza, la causa è stata infine riservata per la decisione.
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Il ricorso cautelare è fondato e merita accoglimento per i motivi che seguono.
Preliminarmente, con riferimento alla procura dei ricorrenti – premessa la piena validità (d’altra parte non contestata da parte resistente) del mandato rilasciato in Tagikistan dal ricorrente -OMISSIS- a nome proprio e per conto dei propri cinque figli minori, quale titolare della responsabilità genitoriale su di essi, in quanto correttamente recante la firma del ricorrente autenticata da pubblico ufficiale locale, apostillato e tradotto – deve ritenersi altresi valida la procura rilasciata dalla ricorrente -OMISSIS- firmata da quest’ultima a Kabul e con sottoscrizione autenticata dal difensore italiano tramite ostensione del documento d’identità in collegamento video online.
Come già ricordato nell’ordinanza del 24.05.2023, seppure le disposizioni emergenziali che autorizzavano il rilascio della procura “a distanza”, dettate dall’art. 83, c. 20 ter del d.l. 18/2020 per far fronte alla pandemia allora in corso, non possano ritenersi suscettibili di applicazione in via analogica – proprio in quanto dettate per sopperire ad una situazione del tutto eccezionale e specificamente delineata –, non può non rilevarsi come le stesse fossero tuttavia indubbiamente espressive di un principio generale, di cui si è fatto interprete il legislatore dell’emergenza, volto a ribadire la centralità del diritto di agire, tutelato a livello costituzionale dall’art. 24 Cost., nonché la necessità per l’ordinamento di garantirne l’effettivo godimento anche in circostanze che, proprio per la loro eccezionalità, altrimenti lo impedirebbero di fatto.
Ebbene, nel caso dell’odierna ricorrente, certamente ricorrono condizioni cosi particolari da escludere ogni possibilità di rilasciare la procura nelle forme ordinarie, considerato che la stessa – rimasta sola in Afghanistan insieme ai propri cinque figli minori – non ha alcuna possibilità di ottenere la legalizzazione della propria procura, né recandosi presso l’autorità consolare italiana a Kabul, la cui attività è stata sospesa (come chiaramente verificabile al sito dedicato https://ambkabul.esteri.it/ambasciata_kabul/it/, né recandosi presso altra rappresentanza diplomatico-consolare attiva in Paesi limitrofi. Come rappresentato dalla difesa di parte ricorrente nel corso dell’istruttoria e come d’altra parte verificabile tramite la consultazione delle fonti a disposizione sull’Afghanistan, uno spostamento del nucleo familiare nella situazione attuale non solo metterebbe in pericolo l’incolumità di tutti i suoi componenti a causa delle condizioni di insicurezza generale nel Paese (cfr., ad esempio, HRW – Human Rights Watch, World Report 2023 – Afghanistan, 12 gennaio 2023, https://www.hrw.org/world-report/2023/country-chapters/afghanistan; AI – Amnesty International, Amnesty Intemational Report 2022/23; The State of the World’s Human Rights; Afghanistan 2022, 27 marzo 2023, https://www.amnesty.org/en/location/asia-and-the-pacific/south-asia/afghanistan/report-afghanistan/; ACLED, Regional Overview Asia-Pacific, March 2023, 6 aprile 2023, https://acleddata.com/2023/04/06/regional-overview-asia-pacific-march-2023/), ma ricadrebbe nel divieto espressamente sancito da decreto del regime talebano, che, nel quadro di generale soppressione delle libertà delle donne, impedisce loro di viaggiare per distanze superiori ai 72 km se non accompagnate da un familiare stretto di sesso maschile (cfr. su questo, ad esempio, ACCORD – Austrian Centre for Country of Origin and Asylum Research and Documentation, ecoi.net featured topic on Afghanistan: Overview of recent developments and key players in Afghanistan , 17 maggio 2023, https://www.ecoi.net/en/document/2092065.html; UNAMA – UN Assistance Mission in Afghanistan, Corporal punishment and the death penalty in Afghanistan; UNAMA Human Rights, maggio 2023, https://www.ecoi.net/en/file/ local/2091542/hr_brief_on_cpdp_03052023-english.pdf; ACAPS, ACAPS Thematic Report Afghanistan: Taliban clirectives and decrees affecting human rights and humanitarian actors, 21 aprile 2023, https://reliefweb.int/attachments/315b4c9c-8326-4748-98a2a7ad4394fb98/20230424_acaps_thematic_report_afghanistan_taliban_directives_and_decrees.pdf.
Dunque, mettendosi in viaggio per raggiungere una delle rappresentanze diplomatiche attive nei Paesi confinant i con l’Afghanistan, la ricorrente si esporrebbe non solo ai rischi che riguardano qualsiasi civile presente in un Paese interessato da conflitto, ma ad un ulteriore rischio individualizzato, violando un divieto normativo che è rigidamente applicato dal regime talebano, come le fonti riportano, anche mediante l’irrogazione di pene. Ebbene, si ritiene che tale particolarissima sitnazione sia idonea a giustificare una deroga alle regole ordinarie, nello specifico sul rilascio della procura, a pena di ledere irrimediabilmente un diritto fondamentale di rilievo costituzionale.
L’obiezione di parte resistente, secondo cui ciò legittimerebbe in via generale il rilascio della procura a legali in Italia da ricorrenti all’estero, limitando la reale capacità di verificare l’identità di questi ultimi, appare destituita di fondamento, data la specificità del caso in esame e le particolari ragioni, sopra evidenziate, che conducono ad ammettere in questa sede una deroga al regime ordinario. Riflessioni simili non possono in ogni caso impedire al Giudice di tutelare i diritti della persona nel caso concreto sottoposto al suo esame, quale in questa sede il diritto alla difesa della ricorrente. Lo stesso deve dirsi per l’altra obiezione di parte resistente, secondo cui la ricorrente e i suoi cinque figli sarebbero comunque costretti a lasciare l’Afghanistan nell’ipotesi di rilascio del richiesto visto d’ingresso in Italia, non avendo possibilità di partire dal Paese dal momento che le autorità italiane non vi operano più. Tale considerazione di ordine pratico nulla toglie, infatti, all’argomento sopra svolto circa l’attuale impossibilità di fatto per la ricorrente di rilasciare procura nelle forme ordinarie, e circa la conseguente necessità di garantirle un modo praticabile di esercitare il proprio diritto d’azione. Si nota per inciso, peraltro, che l’esposizione al rischio della propria vita – se può difficilmente giustificarsi anche nella prospettiva di raggiungere la definitiva salvezza con l’ingresso in Italia, Paese che i ricorrenti assumono essere responsabile per la loro protezione – certamente non può giustificarsi all’unico fine di un adempimento di certificazione dell’identità, cui può nel caso provvedersi anche successivamente, in sede di regolarizzazione.
I medesimi principi sono stati espressi nella recentissima sentenza della Corte di Giustizia del 18.04.2023 resa nella causa C-1/23 PPU, relativa al caso della richiesta di visto per ricongiungimento familiare che, sebbene diverso, è tnttavia assimilabile a quello di specie per quanto qui rileva, contrariamente a quanto sostenuto da parte resistente, venendo in quel caso in rilievo le medesime necessità di accertamento dell’identità che si pongono nella fattispecie in esame relativamente al rilascio di una procura alle liti, nonché le medesime finalità di tutela di diritti fondamentali, quali il diritto all’unità familiare in un caso e quello alla difesa e ad agire in giudizio nell’altro, entrambi tutelati a livello internazionale e costituzionale. Ebbene, la Corte di Giustizia ha in proposito chiarito che “è indispensabile che gli Stati membri diano prova, in simili situazioni, della flessibilità necessaria per consentire agli interessati di presentare effettivamente la loro domanda di ricongiungimento familiare in tempo utile, facilitando la presentazione di tale domanda e ammettendo, in particolare, il ricorso a mezzi di comunicazione a distanza. Infatti, in assenza di una tale flessibilità, richiedere, senza eccezioni, la comparizione personale al momento della presentazione della domanda … non consente di tener conto degli eventuali ostacoli che potrebbero impedire la presentazione effettiva della domanda e, quindi, rendere impossibile l ‘esercizio del diritto al ricongiungimento familiare … in un paese segnato da un conflitto armato, le possibilità di spostarsi verso sedi diplomatiche o consolari competenti possono essere notevolmente limitate, di modo che, per soddisfare il requisito della comparizione personale, tali persone, che possono, in aggiunta, essere minorenni, si vedrebbero costrette ad attendere che la situazione della sicurezza consenta loro di spostarsi. salvo esporsi a trattamenti inumani o degradanti, o anche mettere in pericolo la propria vita”, altresì evocando le conseguenze lesive per il diritto all’unità familiare che si realizzano nel caso dell’impedito ricongiungimento, esattamente come si realizzerebbero nel caso di specie, in assenza di modalità eccezionali di rilascio della procura per sopperire all’impossibilità di accedere a quelle ordinarie, salva eventuale successiva regolarizzazione.
Anche alla luce di tali principi derivanti dalla giurisprudenza internazionale, si ritiene pertanto che, nel rispetto di tale preciso obbligo di garanzia di un diritto fondamentale, sia legittima la facoltà della ricorrente di rilasciare la propria procura al difensore secondo le uniche modalità a lei accessibili al momento, e cioè a distanza, con autenticazione della sottoscrizione tramite modalità telematiche. Deve pertanto ritenersi valida la procura rilasciata dalla ricorrente -OMISSIS- e respingersi l’ eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione attiva sollevata da parte resistente relativamente alla stessa.
Per gli stessi motivi ed alla luce della medesima giurisprudenza sopra richiamata deve, inoltre, respingersi la censura di inammissibilità relativa alle modalità di presentazione della domanda di visto in sede amministrativa, non potendosi pretendere dal ricorrente -OMISSIS- di spostarsi nel Paese in cui si trova attualmente nascosto (il Tagikistan, privo di rappresentanza diplomatico-con solare italiana; cfr., https://www.esteri.it/it/ministero/struttura/laretediplomatica/) per raggiungere una rappresentanza diplomatico-consolare italiana disponibile, altrimenti esponendosi al rischio di rimpatrio in Afghanistan, ove rintracciato dalle autorità, e a tutte le conseguenze che ne seguirebbero, come si argomenterà di seguito.
Ciò posto, venendo all’esame del merito, con riferimento innanzitutto al requisito del fumus boni iuris, ossia la verosimile fondatezza della domanda, l’esame sommario che è tipico del giudizio cautelare consente di ritenere sussistente il diritto fatto valere dai ricorrenti ad ottenere un visto per motivi umanitari.
Quanto alle condizioni per il rilascio di tale visto, occorre richiamare i principi fissati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale in merito. L’attuale orientamento giurisprudenziale – fatto proprio da questo Tribunale, da ultimo, in particolare con l’ordinanza collegiale del 24.06.2022 – ha individuato i criteri idonei a definire le condizioni minime perchè possa radicarsi il diritto ad agire (giudizialmente) per ottenere di fare ingresso sul territorio nazionale ed il corrispondente dovere dello Stato (esercitabile in via suppletiva dal giudice dei diritti, ove non spontaneamente adempiuto) di prendere in esame tale richiesta ed eventualmente accoglierla.
In tale prospettiva, secondo l’art. 1 CEDU, gli Stati contraenti sono tenuti a riconoscere i diritti e le libertà stabiliti dalla Convenzione ad ogni persona che sia soggerta alla propria giurisdizione. In proposito, secondo i canoni del diritto internazionale, la giurisdizione si individua in primo luogo sulla base del principio di territorialità – che turtavia non può trovare applicazione nel caso di specie, trattandosi della domanda di un cittadino afghano attualmente presente in Tagikistan –, ma anche sulla base delle specifiche eccezioni individuate dalla Corte Edu, la quale ha riconosciuto che in presenza di circostanze particolari può ritenersi che gli Stati esercitino (o abbiano esercitato) la loro giurisdizione anche oltre le rispettive frontiere (cfr. Al-Skeini e a. c. Regno Unito [GC], par. 133, e giurisprudenza ivi citata), in particolare in ragione del potere (o del controllo) effettivamente esercitato sull’interessato (ratione personae) o a causa del controllo effettivamente esercitato sul territorio straniero in questione (ratione loci). Analoghe conclusioni sembrano doversi trarre dall’esame del Regolamento n. 810/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio (“Codice visti”), con riferimento all’art. 25, il quale prefigura in linea generale la facoltà dello Stato richiesto di autorizzare l’ingresso in deroga per motivi umanitari, nonché dal c.d. Codice Frontiere (Regolamento 2016/399 del Parlamento Europeo e del Consiglio), il quale prevede all’ art. 6 par 5 lettera c) – con terminologia del tutto equivalente a quella dell’art. 25 del Codice Visti – che i cittadini di paesi terzi che non soddisfano una o più delle condizioni di ingresso previste dal precedente par. 1 “possano essere autorizzati da uno Stato membro ad entrare nel suo territorio per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali”.
Dunque, al fine di radicare la giurisdizione (e dunque la responsabilità) dello Stato italiano a fronte della richiesta di un cittadino di un paese terzo di fare ingresso sul territorio nazionale, anche attraverso il rilascio di un visto “umanitario”, appare necessario che sussistano fattori idonei a determinare una relazione qualificata tra lo Stato (in qualità di soggetto obbligato) ed un individuo specifico (in quanto titolare di un diritto) in un particolare contesto; ciò che è necessario è dunque che sia espressa o esprimibile – ad esempio – una forma di controllo effettivo da parte dello Stato (si pensi al caso dell’accesso alle frontiere nazionali), attraverso l’uso della forza o dell’autorità, o per l’impatto di una normativa, anche esterna, che implichi l’ insorgere di un dovere di intervento dello Stato (si pensi ad esempio alla c.d. “legge del mare”), tale da determinare l’acquisizione da parte dello Stato stesso di una posizione di responsabilità sulla persona del richiedente l’ingresso (ad esempio perché quest’ultimo sia presente alla frontiera, ovvero in un luogo in cui le autorità dello Stato richiesto esercitano un preciso potere autoritativo). In altri termini, l’esistenza di una preesistente relazione qualificata idonea a radicare la sua giurisdizione su un particolare individuo fa sorgere un dovere di accoglienza in capo allo Stato titolare di giurisdizione. Ove vi sia una spendita di potere in grado di incidere con effetto sulla sfera giuridica del destinatario, lo Stato non può dichiararsi estraneo rispetto alle richieste che gli vengono rivolte (v. ad esempio Corte Edu, Güzelyurtlu e altri c. Cipro e Turchia, ricorso n. 36925/07, sentenza GC 29.1.2019).
Ebbene, risulta dimostrato nel caso di specie, a maggior ragione al livello di un esame sommario qual è quello tipico del procedimento cautelare in oggetto, che lo Stato italiano abbia esercitato nei confronti dell’odierno ricorrente una forma di potere e controllo effettivo idonea a configurarne la giurisdizione ai sensi dei ricordati principi giurisprudenziali.
Infatti, come rappresentato e documentato in giudizio, il ricorrente ha vissuto per sei anni in territorio italiano (dal 2004 al 2010) e vi ha soggiornato anche più di recente (nel 2019) – periodi durante i quali si è evidentemente trovato sottoposto alla giurisdizione persino territoriale italiana – imparando la lingua, studiandovi e formandosi professionalmente al punto da conseguire una laurea specialistica e diverse qualificazioni professionali (cfr. documenti allegati in atti), collaborando con l’apparato militare italiano sia in Italia che in Afghanistan. Proprio grazie a tale sua attività professionale e di studio, egli ha stretto legami personali molto forti con l’Italia e in particolare con membri delle forze militari italiane, al punto da esserne
stato contattato all’indomani della riconquista del potere da parte dei talebani in Afghanistan nell’agosto 2021, mediante un’offerta di evacuazione per mezzo dei voli umanitari in partenza da Kabul per l’Italia sotto il coordinamento del Ministero della Difesa.
Tale presa in carico dell’odierno ricorrente (e del suo nucleo familiare) da parte delle autorità italiane risulta dimostrata nel caso di specie, innanzitutto dalla circostanza dell’arrivo in Italia del padre del ricorrente, con le medesime modalità, attualmente residente a Roma e titolare dello status di rifugiato. Come dichiarato presso la Commissione Territoriale che l’ha ascoltato in data 19.10.2021 a seguito della domanda di protezione internazionale presentata una volta giunto sul territorio
italiano, il padre del ricorrente ha riferito di essere partito proprio grazie ai contatti intercorsi tra suo figlio (odierno ricorrente) e gli ex colleghi universitari di quest’ultimo: “avevo mio figlio che era molto legato all’Italia, tramite i suoi compagni all’Università, avevano mandato una lettera al Ministero della Difesa italiano. Così io sono andato all’aeroporto e sono partito”, cfr. pag. 16 del verbale d’audizione del padre del ricorrente allegato in giudizio. Nella medesima sede, egli sembra aver persino documentato i detti contatti che ne hanno permesso l’evacuazione dall’Afghanistan: “questa lettera che è stata inviata al Ministero della Difesa italiano … [p]otete farcela avere via e-mail? Sì”, cfr. pag.16 del citato verbale).
A fronte della solidità della prova rappresentata non solo dalle dichiarazioni (ritenute credibili al punto da condurre al riconoscimento dello status di rifugiato), ma dalla stessa presenza del padre del ricorrente in Italia, la circostanza che, a seguito delle ricerche svolte a partire dai documenti d’identità dei ricorrenti, il Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI) – l’organo del Ministero della Difesa competente per l’individuazione degli ex collaboratori dell’esercito italiano da inserire nella lista delle persone da evacuare e trasferire in Italia tramite corridoi umanitari riservati (come spiegato dall’Amministrazione resistente nella comparsa di costituzione) – abbia riferito “che nel Database sulla base delle informazioni al momento disponibili presso il Team Valutazione Eleggibilità (TVE), operante alle dipendenze di questo comando, non risulta alcuna richiesta formale di assistenza a favore dei nominativi che compongono il nucleo familiare del ricorrente Sig. -OMISSIS-“, non risulta determinante ad escludere la prova della detta presa in carico dei ricorrenti da parte dello Stato italiano. Piuttosto, l’assenza di “richieste di assistenza formali” risulta coerente con quanto rappresentato in ricorso, nonché dal padre del ricorrente, circa l’informalità dei contatti intrattenuti con i militari italiani che avevano garantito la loro evacuazione, sulla base dei rapporti che il primo ricorrente -OMISSIS- aveva stretto a livello personale. L’informalità ha d’altra parte caratterizzato spesso, e comprensibilmente, la prima fase delle evacuazioni dall’Afghanistan verso l’Italia (e verso gli altri Stati occidentali che erano intervenuti nel Paese), organizzate nei concitati momenti immediatamente seguiti alla riconquista del potere da parte dei talebani nell’ambito dell’operazione detta Aquila Omnia: come dichiarato dallo stesso Ministro della difesa di allora, in un tempo brevissimo (considerando che l’ultimo volo di evacuazione da Kabul è decollato il 27 agosto 2021, dunque a neppure due settimane dalla riconquista del potere da pane dei talebani, avvenuta il 15 agosto 2021), “il ponte aereo … ha portato in Italia un numero di persone ben oltre superiore a quello previsto inizialmente”, ciò che rende evidente come il piano di evacuazione non si sia limitato a coloro che avessero presentato una “richiesta formale di assistenza” (cfr. su questo Ministero della Difesa, Afghanistan: decollato l’ultimo C130-J dell’Aeronautica Militare da Kabul. Conclusa evacuazione dei cittadini afghani. Partiti anche tutti i militari italiani, 27 agosto 2021, https://www.difesa.it/Primo Piano/Pagine/decollato-ultimo-C130-J-dell-Aeronautica-Militare-da-Kabu1-Conclusa-evacuazione-dei-cittadini-afghani.aspx).
A ben vedere, la presenza dei ricorrenti tra le persone da evacuare in quella prima fase della messa in sicurezza dei collaboratori dell’esercito italiano non è stata smentita neppure dall’Amministrazione resistente, la quale anzi sembra confermare il punto: “Le interlocuzioni … sono state intrattenute dai ricorrenti con il Ministero della Difesa … È necessario precisare che tutte le interlocuzioni citate in ricorso sono avvenute tra i ricorrenti ed il Ministero della Difesa”, cfr. pag. 2 della comparsa di parte resistente. L’Amministrazione contesta piuttosto che i ricorrenti non abbiano successivamente inoltrato una richiesta di inserimento nelle liste delle persone da evacuare con l’operazione detta Aquila Omnia Bis, avviata dopo la chiusura della precedente operazione Aquila Ornnia (Ministero della Difesa, Forze Armate: Al via operazione Aquila Omnia bis, 27 novembre 2021, https://www.difesa.it/SMD_/Comunicati/Pagine/Forze_Armate_al_via_operazione_Aquila_Omnia_bis.aspx), ciò che tuttavia non rileva ai fini della prova della loro inclusione nel piano di evacuazione precedente (né vale a pregiudicare la percorribilità della richiesta di un visto d’ingresso per motivi umanitari di cui qui si tratta, come si argomenterà di seguito).
Per tutti questi motivi, la circostanza della presa in carico del ricorrente da parte delle autorità italiane tramite offerta di evacuazione in Italia deve ritenersi provata nel presente giudizio cautelare e perfino non contestata.
Di tale possibilità il ricorrente e il suo nucleo familiare non hanno, tuttavia, potuto beneficiare in concreto a causa della situazione di insicurezza generale diffusa in quel momento in Afghanistan, nonché a causa del rischio specifico riguardante la persona del primo ricorrente -OMISSIS- legato alla sua attività di militare del governo afghano rovesciato dai talebani ed impegnato nella lotta al terrorismo, oltre che collaboratore delle forze occidentali. Trovandosi nella provincia del Panjshir, egli non ha infatti potuto raggiungere Kabul in tempo per la partenza del volo umanitario previsto a sua disposizione per condurlo in Italia, come rappresentato in ricorso e confermato dalle dichiarazioni di suo padre, anch’esso appartenente all’esercito afghano.
Ebbene, la circostanza che i ricorrenti siano stati ricompresi nel programma di evacuazione del Governo italiano – sulla base dello stretto legame preesistente tra il medesimo -OMISSIS- e il nostro Paese – è di per sé idonea a configurare quella relazione qualificata intercorrente tra uno Stato e un individuo (non cittadino) richiesta dai principi di diritto internazionale ai fini del riconoscimento della giurisdizione dello Stato medesimo. Nel caso di specie, a ben vedere, è stato lo stesso Stato italiano a riconoscere la propria responsabilità sulle persone dei ricorrenti, individuandoli come idonei a fare ingresso e ricevere protezione in Italia alla luce del loro stretto legame col Paese, originato dalla pregressa esperienza di vita, studio e lavoro in Italia in particolare di -OMISSIS- nonché dal servizio prestato da quest’ultimo in favore delle forze internazionali e anche italiane. Tali circostanze sono tali da fondare una relazione di connessione dei ricorrenti col nostro Paese, oltre che da esporli ad un rischio maggiore e specifico in caso di permanenza in Afghanistan (o, per -OMISSIS- di rimpatrio in tale Paese dal Tagikistan, dove attualmente si trova).
Nel caso di specie, dunque, non può negarsi che lo Stato italiano abbia effettivamente usato la propria autorità per esercitare una forma di potere e controllo sulle persone dei ricorrenti, cosi intensa da poterli sottrarre al rischio della loro incolumità e trasferirli dal loro Stato di cittadinanza entro il territorio fisico dello Stato italiano. La mancata concretizzazione (per puro incidente) di tale trasferimento non ridimensiona affatto la portata dell’avvenuta incisione da parte delle autorità italiane sulla sfera giuridica dei ricorrenti, i quali si sono trovati ad esse affidati in virtù di uno stretto rapporto, anche preesistente, col nostro Paese.
Si noti, peraltro, come l’assunzione di responsabilità da parte dello Stato italiano nei confronti dei cittadini dell’Afghanistan che, come l’odierno ricorrente, abbiano collaborato con le forze internazionali e in particolare italiane – legandosi ad esse e al tempo stesso esponendosi ad un pericolo particolare nell’evenienza poi realizzatasi della riconquista del potere da parte del regime talebano – è resa evidente dalla recentissima scelta del legislatore italiano di tenere in special conto, nel riformare (in senso più restrittivo) le condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale in generale, proprio la situazione dei “cittadini afghani richiedenti protezione internazionale che, a seguito della grave crisi determinatasi in Afghanistan, fanno ingresso nel territorio nazionale in attuazione delle operazioni di evacuazione effettuate dalle autorità italiane, anche in ragione del servizio prestato al precedente Governo afghano e alla comunità internazionale che lo coadiuvava”, i quali “possono essere accolti anche nell’ambito del sistema di accoglienza” (art. 5 ter, c. 4 del d.l. 20/2023, convertito con legge n. 50/2023), diversamente da tutti gli altri. Tale riguardo del legislatore rafforza l’idea di un collegamento particolare tra la descritta categoria di persone e lo Stato italiano, cui si somma, nel caso dell’odierno ricorrente (e tramite lui del suo nucleo familiare), la circostanza della sua lunga presenza in Italia e delle sue attività di studio e formazione svolte in Italia.
Tale condizione peculiare si ritiene, dunque, idonea a ricomprendere le persone degli odierni ricorrenti entro la sfera giurisdizionale dello Stato italiano e a fondare il loro diritto a chiedere e ottenere un visto d’ingresso nel territorio italiano per motivi umanitari, alla luce del pericolo cui sono attualmente esposti, di cui in seguito.
Né il riconoscimento di tale diritto può essere escluso dalla circostanza, contestata da parte resistente, del mancato esperimento da parte dei ricorrenti di una richiesta di inserimento nelle liste delle persone da evacuare nell’ambito dell’operazione detta Aquila Omnia Bis, che l’Amministrazione riferisce essere in corso al momento, nelle modalità dalla stessa indicate “a titolo di collaborazione”.
Ciò, innanzitutto, perché, come sottolineato da parte ricorrente, l’ inoltro di tale richiesta non è in alcun modo pregiudiziale alla richiesta di un visto d’ingresso per motivi umanitari, di cui si tratta nel caso di specie. Deve notarsi, in secondo luogo, che, come risulta dalle stesse istruzioni messe a disposizione dal COVI, il modulo di richiesta è accompagnato già al momento della compilazione da parte dell’interessato da una nota informativa che avverte dell’attuale impraticabilità dell’arrivo in Italia tramite la detta operazione, spiegando: “Dear Sir/Madam; Sebbene l’attuale situazione contingente non permetta il nostro supporto diretto per raggiungere l’ITALIA la Sua richiesta non resterà inascoltata. Faremo tutto ciò che sarà nelle nostre possibilità per agevolare il Suo arrivo nel nostro Paese non appena le condizioni lo consentiranno”.
Risulta così già anticipata la risposta negativa (o l’assenza di risposta) che seguirebbe alla richiesta che si pretende dai ricorrenti, in quanto dagli stessi non inoltrata. La richiesta che l’Amministrazione resistente richiede ai ricorrenti non può, quindi, incidere sulla valutazione circa la sussistenza del diritto fatto valere nel presente giudizio, dal momento che non solo non può configurarsi quale presupposto del presente giudizio, ma anche che già appare preludere ad una risposta negativa, data l’attuale inoperatività dichiarata del canale cui è preordinata.
Nemmeno vale a tal fine l’ ulteriore obiezione di parte resistente di consentire in questo modo agli odierni ricorrenti di superare le persone che attendono l’ingresso secondo il canale (in principio) predisposto, atteso che siffatta considerazione non può impedire la valutazione giudiziale nel singolo caso sottoposto all’esame del Giudice. Tale timore può piuttosto essere scongiurato dall’Amministrazione stessa, mediante l’effettiva implementazione dei canali previsti nei confronti di persone nella stessa situazione degli odierni ricorrenti.
Si nota piuttosto come la programmazione dell’operazione di evacuazione cui fa riferimento l’Amministrazione (a prescindere dalla sua effettività nella pratica) non faccia che rafforzare la dimostrazione di una presa in carico da parte dello Stato italiano delle persone nella precisa situazione degli odierni ricorrenti, e dunque di uno stretto collegamento tra questi ultimi e lo stesso Stato, con il correlato diritto dei primi a fare ingresso nel secondo, come sopra argomentato, alla luce della grave situazione di pericolo in cui essi si trovano.
Infatti, ciò posto quanto al fumus boni iuris, si ritiene del pari sussistente nel caso di specie l’ulteriore requisito cautelare del periculum in mora.
Quanto alla situazione del primo ricorrente -OMISSIS- questi si trova attualmente presente in Tagikistan, dove ai profughi afghani – affluiti nel Paese in diverse migliaia a seguito della riconquista del potere da parte dei talebani – è spesso impedito l’accesso alla procedura d’asilo e a tutti i diritti connessi e dove essi rischiano di subire le discriminazioni e violenze che le fonti attestano esistere ai loro danni nel Paese, secondo le quali “Il governo ha continuato ad applicare una politica che impedisce ai rifugiati afghani di risiedere nelle principali città … I rifugiati, la stragrande maggioranza de i quali sono afghani, hanno dovuto affrontare discriminazioni nel lavoro e nell’istruzione, oltre a frequenti molestie ed estorsioni da parte della polizia e di altri funzionari … Alcuni cittadini afghani e del Bangladesh sono stati vittime di lavori forzati” (USDOS – US Departrnent of State, 2022 Country Report on Human Rights Practices: Tajikistan, 20 marzo 2023, https://www.state.gov/reports/2022-country-reports-on-human-rights-practices/tajikistan/) e “Migliaia di rifugiati afghani in Tagikistan hanno incontrato difficoltà nell’ottenere lo status di rifugiato, aumentando la vulnerabilità al traffico di esseri umani” (USDOS – US Departrment of State, 2022 Trafficking in Persons Report: Tajikistan, 29 luglio 2022, https://www.state.gov/reports/2022-trafficking-in-persons-report/tajikistan/); infatti “L’UNHCR ha ripetutamente espresso la sua preoccupazione per la creazione di ostacoli per i cittadini afghani in cerca di sicurezza in Tagikistan di accedere alle procedure di asilo e alla protezione … La situazione è grave per i richiedenti asilo appena arrivati, che non godono dei diritti socioeconomici a causa del mancato accesso alle procedure di asilo … i programmi statali per mitigare gli effetti del declino economico sulla popolazione sono insufficienti. In questo contesto, i rifugiati, i richiedenti asilo e le altre persone in difficoltà continuano ad essere pesantemente colpiti e a dipendere dal ‘assistenza umanitaria” (UNHCR – UN High Commissioner for Refugees, Afghanistan Situation; Regional Refugee Response Plan; 2021 Final Report, 31 marzo 2022, https://www.ecoi.net/en/file/local/2070603/Afghanistan+Situation+Regional+RRP+2021+Final+Reprt.pdf) e “La situazione dei richiedenti asilo che non hanno accesso alla procedura di asilo è catastrofica. Hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria” (SFH – Schweizerische Flüchtlingshilfe, Query response on Tajikistan: Health care for Afghan refugees, l giugno 2022, https://www.ecoi.net/en/file/local/207838l/220601_TJK_afghan_refugee_healthcare.pdf).
Il ricorrente, inoltre, privo di un regolare permesso di soggiorno in Tagikistan (proprio per la riscontrata mancata garanzia del diritto d’asilo), si trova esposto all’ulteriore e più grave rischio di essere rimpatriato in Afghanistan. Le fonti internazionali confermano d’altra parte che i rimpatri forzati dei cittadini afghani sono correntemente effettuati dal governo tagiko e anzi risultano in crescita, in violazione del principio di diritto internazionale del non refoulement. In particolare, “I rifugiati afghani continuano a esse re detenuti e depo rtati … L’UNHCR ha documentato decine di casi nei soli mesi di agosto e settembre. I membri della comunità di quasi 14.000 rifugiati afghani hanno riferito che le espulsioni fo rzate avvenivano senza alcuna procedura o motivazione espressa” (AI – Amnesty International, Amnesty International Report 2022/23; The State of the World’s Human Rights; Tajikistan 2022, 27 marzo 2023, https://www.amnesty.org/en/location/europe-and-central-asia/tajikistan/report-tajikistan/), mentre “L’UNHCR esprime grande preoccupazione per la continua detenzione e deportazione di rifugiati afghani in Tagikistan … Nell’ultimo incidente, circa cinque afghani, tra cui una famiglia composta da tre bambini e dalla madre, sono stati rimpatriati in Afghanistan … Dal 2021, l’UNHCR ha registrato molteplici episodi di detenzioni di rifugiati, rimpatri forzati e mancata ammissione nel territorio di individui bisognosi di protezione internazionale. Un consiglio globale dell’UNHCR sul non rimpatrio per l’Afghanistan, emesso nell’agosto 2021 e rinnovato nel febbraio 2022, chiede di impedire i rimpatri forzati di tutti i cittadini afghani” (UNHCR – UN High Commissioner for Refugees, UNHCR raises concerns over Afghan refugee forced returns from Tajikistan, 25 agosto 2022, https://www.unhcr.org/asia/news/press/2022/8/6306f7274/unhcr-raises-concerns-over-afghan-refugee-forced-returns-from-tajikistan.html), laddove “Le autorità del Tagikistan stanno radunando i rifugiati afghani e li costringono a riattraversare il confine con l ‘Afghanistan, nonostante alcuni abbiano ottenuto asilo in altri Paesi. Secondo quanto riferito dalla comunità di 10.000 rifugiati afghani del Tagikistan, le persone sono state raccolte per strada e le case sono state perquisite in una serie di recenti rastrellamenti di famiglie afghane … Gli afghani in Tagikistan che hanno parlato con il Guardian affermano che il numero di persone costrette a tornare in Afghanistan attraverso il confine terrestre si aggira intorno alle centinaia, e che le deportazioni f orzate sono aumentate negli ultimi quindici giorni” (The Guardian, Tajikistan ’rounding up and deporting Afghan refugees’, 9 settembre 2022, https://www.theguardian.com/global-development/2022/sep/09/tajikistan-rounding-up-and-deporting-afghan-refugees).
Il ricorrente fronteggia dunque il rischio concreto e attuale di essere forzatamente rimpatriato in Afghanistan, Paese in cui egli correrebbe un rischio specifico a motivo del suo profilo e della sua storia personale. Come rappresentato e dimostrato in giudizio, egli ha infatti lavorato in qualità di militare per il precedente governo afghano, ricoprendo la carica di Ufficiale dell’Afghanistan National Army e di capo dell’ufficio internazionale; con tale qualifica ha lungamente collaborato con le forze occidentali della missione NATO, anche soggiornando presso Paesi stranieri, in particolare l’Italia, per ricevere addestramento e formazione specialistica; ha infine preso parte ad operazioni militari specificamente indirizzate alla lotta contro terroristi ed estremisti, inclusi i talebani. Tali circostanze, documentate in atti e non contestate da parte resistente, lo espongono ad un rischio di subire ritorsioni violente da parte dei talebani ora al potere, individualizzate contro la sua persona e di gravità tale da assurgere a vera persecuzione personale, mettendo in pericolo la sua libertà e la sua stessa vita. Le fonti confermano, infati , che il regime continua a cercare e perseguire persone associate al precedente governo, arrivando a punirle con detenzione ed esecuzione arbitrarie : “Per tutto l’anno, le forze di sicurezza talebane hanno effettuato detenzioni arbitrarie, torture ed esecuzioni sommarie di ex ufficiali di sicurezza e di persone percepite quali nemici, tra cui personale di sicurezza del precedente governo … Le forze talebane hanno compiuto omicidi per vendetta e sparizioni forzate di ex funzionari governativi e personale delle forze di sicurezza … La Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha pubblicato nell’agosto 2022 un rapporto che descrive in dettaglio numerosi casi di uccisioni o sparizioni commesse dalle forze talebane dall’agosto 2021. Non è sempre possibile stabilire se le persone uccise fossero ex personale governativo o presunto ISKP” (HRW – Human Rights Watch, World Report 2023 – Afghanistan, 12 gennaio 2023, https://www.hrw.org/world-report/2023/countrv-chapters/afghanistan); ed ancora “Sotto i Talebani, le esecuzioni extragiudiziali di persone associate al precedente governo, di membri di gruppi armati come il Fronte di Resistenza Nazionale (NRF), lo Stato Islamico della Provincia del Khorasan (IS-KP) e di coloro che presumibilmente non seguivano le regole dei Talebani sono apparse diffuse e sistematiche. Tra questi vi erano anche afghani associati all’ex governo o alle ex forze di sicurezza. La Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha registrato almeno 237 esecuzioni extragiudiziali tra la presa di potere dei Talebani il 15 agosto 2021 e il 15 giugno 2022″ (AI – Amnesty International, Amnesty International Report 2022/23; The State of the World’s Human Rights; Afghanistan 2022, 27 marzo 2023, https://www.arnnesty.org/en/location/asia-and-the-pacitic/south-asia/afghanistan/report-afghanistan/): risulta altresì che “Tra agosto 2021 e giugno 2022, il Servizio per i diritti umani (HRS) dell’UNAMA ha registrato 160 uccisioni mirate, 178 arresti e detenzioni arbitrarie, 23 casi di sequestri e 56 casi di tortura e maltrattamenti di ex funzionari della sicurezza e del governo precedente all’agosto 2021, perpetrati dai Talebani … Le segnalazioni di uccisioni per rappresaglia da parte dei talebani hanno riguardato il più delle volte singoli individui, molti dei quali ex funzionari governativi … Il New York Times ha stimato che circa 500 ex funzionari governativi e militari sono stati uccisi o sono scomparsi nei sei mesi successivi all’occupazione talebana del Paese” (USDOS – US Department of State, 2022 Country Report on Human Rights Practices: Afghanistan, 20 marzo 2023, httos://www.state.gov/reports/2022-country-reports-on-human-rights-practices/afghanistan/).
D’altra parte, il profilo personale del ricorrente è stato già valutato quale fattore di rischio specifico e particolarmente grave dalle autorità competenti della stessa Amministrazione italiana, la quale come visto, proprio per tale motivo, lo ha individuato quale destinatario del programma di evacuazione umanitaria avviato a partire dall’agosto 2021. Rafforza la valutazione del rischio la vicenda del padre del ricorrente, anche lui in passato collaboratore delle forze internazionali, il quale, riuscito a raggiungere l’Italia, ha avuto riconosciuto lo status di rifugiato proprio a motivo dell’individualizzato rischio di persecuzione che correrebbe in caso di rimpatrio.
Al detto rischio specifico deve sommarsi l’insicurezza che interessa l’intera popolazione presente in Afghanistan, dovuta alla situazione di forte instabilità e di generale violazione dei diritti umani aggravatasi dall’agosto 2021 – quando al ritiro delle forze della missione NATO è seguita la rapida ricostituzione del regime dei talebani –, la quale espone di per sè a grave rischio l’incolumità e i diritti fondamentali di qualsiasi civile presente sul territorio.
Le fonti internazionali affermano, in proposito, che: “I Talebani, che hanno preso il potere nell’agosto 2021, hanno continuato a imporre numerose regole e politiche che violano un’ampia gamma di diritti fondamentali di donne e ragazze … Le autorità hanno anche represso o minacciato i media e i critici del governo talebano, hanno imposto la chiusura delle organizzazioni della società civile e smantellato gli uffici governativi destinati a promuovere o sostenere i diritti umani. L’ISKP ha compiuto attacchi a scuole e moschee … Nel 2022 è proseguita una crisi economica sempre più profonda. Oltre il 90% degli afghani ha sofferto di insicurezza alimentare per tutto l’anno” (HRW – Human Rights Watch, World Report 2023 – Afghanistan, 12 gennaio 2023, https://www.hrw.org/world-report/2023/country-chapters/afghanistan); che “I Talebani hanno condotto impunemente esecuzioni extragiudiziali, arresti arbitrari, torture e detenzioni illegali di percepiti oppositori, creando un’atmosfera di paura. La povertà estrema è aumentata. Esecuzioni pubbliche e fustigazioni sono state usate come punizione per reati come omicidio, furto, relazioni “illegittime” o violazione delle norme sociali” (AI – Amnesty International, Amnesty International Report 2022123; The State ofthe World’s Human Rights; Afghanistan 2022, 27 marzo 2023, https://www.amnesty.org/en/location/asia-and-the-pacific/south-asia/afghanistan/report-afghanistan/); che “Il mese scorso (marzo 2023) in Afghanistan sono stati segnalati almeno 12 eventi di violenza che hanno coinvolto lo Stato Islamico, con un aumento di quattro volte rispetto a febbraio … Oltre agli attacchi aifunzionari talebani, lo Stato Islamico ha preso di mira anche media” (ACLED, Regional Overview Asia-Pacific, March 2023, 6 aprile 2023, https://acleddata.com/2023/04/06/regional-overview-asia-pacific-march-2023/); che “La Provincia del Khorasan dello Stato lslamico (lSKP) ha ripreso gli attacchi mortali … In risposta all’attacco, le forze talebane hanno lanciato diversi raid contro le cellule dell’ISKP, anche nella provincia di Balkh. ISKP 27 marzo ha condotto un attacco suicida nella capitale Kabul, uccidendo sei … Nel frattempo, l’Afghanistan Freedom Front, che ha rivendicato diversi assalti nel sud negli ultimi mesi, ha continuato le sue attività e ha rivendicato attacchi nella capitale Kabul e nella provincia di Takhar … Le crisi economica e umanitaria persistono in tutto il Paese” (ICG – International Crisis Group, Crisis Watch, Global Overview, Afghanistan, marzo 2023, https://www.crisisgroup.org/crisiswatch/april-alerts-and-march-trends-2023#afghanistan); che “I talebani hanno bandito le donne dalle università e dalle ONG, provocando una interruzione dei flussi di aiuti con conseguenze drammatiche per la popolazione civile … L’insicurezza persiste tra gli attacchi dello Stato Islamico … Si sono verificati scontri tra talebani e forze di frontiera pakistane” (ICG – International Crisis Group, Crisis Watch, Global Overview, Afghanistan, dicembre 2022, https://www.crisisgroup.org/crisiswatch/january-alerts-and-december-trends-2022#afghanistan): ed infine, che “A un anno dalla caduta di Kabul, l’Afghanistan è caratterizzato da una continua insicurezza, segnata dai combattimenti tra i Talebani e i gruppi armati antitalebani, dagli attacchi dello Stato lslamico (lS) e dall’aggravarsi degli attacchi ai civili. All’inizio dell’anno, l’ACLED ha valutato che i civili erano esposti a un rischio maggiore di violenza sotto il governo talebano, rischio che è aumentato nella prima metà del 2022 a causa dell’aumento degli attacchi delle forze talebane, dell’IS e di autori non identificati. Inoltre, il governo talebano de facto ha continuato a limitare le libertà personali” (ACLED, 10 Conflicts to Worry About in 2022, Afghanistan Mid-Year Update, febbraio 2022 https://acleddata.coml/10-conflicts-to-worry-about-in-2022/afghanistan/mid-year-update/; cfr. anche USDOS – US Departrment of State, 2022 Country Report on Human Rights Practices: Afghanistan, 20 marzo 2023, https://www.state.gov/reports/2022-country-reports-on-human-rights-practices/afghanistan/).
Tale generale situazione di violenza indiscriminata colpisce anche il nucleo familiare del ricorrente -OMISSIS- sua moglie e i suoi cinque bambini, che tuttora si trovano nascosti a Kabul in una situazione estremamente precaria: esposti all’insicurezza generale e a possibili ritorsioni in quanto familiari di un collaboratore delle forze internazionali, nonché soggetti di per sé vulnerabili. Le fonti riportano infatti le pervasive discriminazioni e le violenze cui sono soggette le donne in Afghanistan sotto il regime dei talebani (cfr., oltre alle fonti sopra citate sulle restrizioni alla libertà di movimento, anche UNHCR – United Nations High Commissioner for Refugees, Statement on the concept of persecution on cumulative grounds in light of the current situation for women and girls in Afghanistan, 25 maggio 2023, https://www.ecoi.net/en/file/local/2092446/646f0e6a4.pdf; IPS – Inter Press Service, Taliban Reign of Terror of Flogging, Rape and Torture Instils Fear in Afghans, 16 maggio 2023, https://www.ipsnews.net/2023/05/taliban-reign-terror-flogging-rape-torture-instils-fear-afghans; AAN – Afghanistan Analysts Network, Lashing, Beating, Stoning: UNAMA tracks corporal punishment and the deatb penalty in Afghanistan, 8 maggio 2023, https://www.afghanistan-analysts.org/en/reports/rights-freedom/lashing-beating-stoning-unama-tracks-corporal-punishment-and-the-death-penalty-in-afghanistan/; IFRC Intemational Federation of Red Cross and Red Crescent Societies, Humanitarian Crisis Operation Update #8 Emergency Appeal no. MDRAF007, 15 maggio 2023, htms://reliefweb.int/attachments/77lc856f- 1275-4dfc-al54-63c734de58c6/Humanitarian%20Crises%20OS%20Operations%20Update%208.pdf, nonché i maggiori pericoli e le privazioni cui sono esposti i minori (cfr., in aggiunta alle fonti già citate, RFE/RL – Radio Free EuropelRadio Liberty, ‘Life Of Toil’: Growing Number Of Starving Afghan Families Send Children To Work, 17 maggio 2023, https://www.rfer1.org/a/afghanistan-child-labor-humanitiarian-economic-crisis/32415971.html; BBC News, Afghanistan: ‘Nothing we can do but watch babies die’, 2 maggio 2023, https://www.bbc.co.uk/news/world-asia-65449259?at_medium=RSS&at_campaign=KARANGA; BBC News, Afghan economic hopes threatened by Taliban – UN, 18 aprile 2023, https://www.bbc.co.uk/news/world-asia-65307858?at_medium=RSS&at_campaign=KARANGA; WFP World Food Programme, WFP Afghanistan: Siruation Report, 17 aprile 2023, https://reliefweb.int/attachments/7602d4d2-4bb8-4880-al14-2621819c6424/20230417%20AFG%20External%20Sitrep.pdf.
Dunque, alla luce di rutto quanto argomentato, rilevata la sussistenza nel caso di specie di entrambi i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora che giustificano l’emanazione di un provvedimento cautelare, deve in conclusione dichiararsi il diritto dei ricorrenti ad accedere sul territorio italiano, con ordine alle competenti autorità di consentire con urgenza l’ingresso sul territorio nazionale, come da dispositivo.
Sulla base, tuttavia, di tutte le considerazioni sopra svolte, deve essere fissata l’udienza di cui al dispositivo al fine di verificare l’avvenuto ingresso dei ricorrenti in Italia e conseguentemente valutare tempi e modalità di regolarizzazione della procura della ricorrente -OMISSIS-, considerato che la volontà della madre dei minori – per come sino ad ora identificata – di conferire l’incarico difensivo appare evidente e la stessa sopra menzionata sentenza della Corte di Giustizia del 18.04.2023 resa nella causa C-1/23 PPU ipotizza, condivisibilmente, siffatta possibilità, nella parte in cui – a tutela del diritto al rispetto dell’unità familiare e con specifico riguardo alla protezione dei minori coinvolti – fa salva la possibilità per lo Stato membro “di richiedere la comparizione personale di tali familiari in una fase successiva della procedura … “, ove sussista “una situazione in cui sia per loro impossibile o eccessivamente difficile recarsi presso la suddetta sede” (cfr., paragrafo 60, nonché 58 e 59).
P.Q.M.
– ordina al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e all’Ambasciata d’Italia a Tashkent (Uzbekistan), in persona del legale rappresentante, il rilascio del visto d’ingresso per motivi umanitari di cui all’art. 25 del regolamento CE 810/2009 c.d. codice visti in favore di -OMISSIS- ovvero di provvedere urgentemente in altro modo ritenuto idoneo a consentire l’immediato ingresso dei predetti ricorrenti nel territorio dello Stato italiano;
– fissa l’udienza del 12.7.2023, ore 10.00 al fine di verificare l’avvenuto ingresso dei ricorrenti in Italia e conseguentemente valutare tempi e modalità di regolarizzazione della procura della ricorrente -OMISSIS-;
– riserva all’esito la pronuncia sulle spese di lite.
Si comunichi a cura della cancelleria.
Roma, 08.06.2023.
Il Giudice
dott.ssa Damiana Colla
