TAR Lazio–Sentenza n.4621 del 16 Marzo 2023-Emersione 2020-Articolo 103 D.l 34/2020-Ritardo P.A.-Legittimità.
Massima e/o decisione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11325 del 2022, proposto da -RICORRENTI PERSONE FISICHE-, -RICORRENTI ASSOCIAZIONI PRIVATE -, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Antonio Angelelli, Arturo Salerni, Gennaro Santoro, Dario Belluccio, Daniele Valeri, Francesco Mason, Salvatore Fachile, Giulia Crescini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Salvatore Fachile in Roma, piazza G. Mazzini, 8;
contro
Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo Roma, Questura Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Ispettorato Territoriale del Lavoro di Roma, Ministero della Innovazione Tecnologica e Transizione Digitale, non costituiti in giudizio;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
-INTERVENIENTI PERSONE FISICHE -, rappresentati e difesi dall’avvocato Girmaneza Zarela Victoria Castillo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
-INTERVENIENTE ASSOCIAZIONE PRIVATA-, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Greco, Gennaro Santoro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Stefano Greco in Roma, via Dardanelli 23;
-INTERVENIENTI PERSONE FISICHE-, rappresentati e difesi dagli avvocati Gennaro Santoro, Salvatore Fachile, Giovanni Monaco, Alberto Pasquero, Giulia Crescini, Federica Remiddi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gennaro Santoro in Roma, viale Carso 23;
-INTERVENIENTI PERSONE FISICHE-, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Antonio Angelelli, Cosimo Alvaro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’accertamento
della lesione diretta, concreta e attuale dei diritti e degli interessi dei ricorrenti per mancata conclusione dei procedimenti amministrativi di emersione come disciplinata dall’art. 103, d.l. 34/2020, convertito con modificazioni in l. 77/2020
nonché per la condanna
delle amministrazioni resistenti al ripristino della funzione amministrativa attribuita, attraverso tutte le azioni ritenute anche medio tempore idonee a risolvere in modo sistematico e generale il disservizio prodotto;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Roma e della Questura di Roma;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2023 il cons. Anna Maria Verlengia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso, notificato il 4 ottobre 2022 e depositato il 5 ottobre successivo, i cittadini stranieri e le Associazioni private, meglio indicati in epigrafe, chiedono accertarsi la lesione diretta, concreta e attuale dei diritti e degli interessi dei ricorrenti per mancata conclusione dei procedimenti amministrativi di emersione, come disciplinata dall’art. 103, d.l. 34/2020, convertito con modificazioni in l. 77/2020, nonché la condanna delle amministrazioni resistenti al ripristino della funzione amministrativa attribuita, attraverso tutte le azioni ritenute anche medio tempore idonee a risolvere in modo sistematico e generale il disservizio prodotto.
I ricorrenti lamentano la mancata conclusione, dopo oltre due anni dalla domanda, di un numero elevato di procedimenti di emersione ai sensi dell’art. 103 del decreto-legge 34/2020, convertito con modificazioni nella legge 17 luglio 2020 n.77.
Secondo i dati raccolti dai ricorrenti nella provincia di Roma su un totale di 17.371 domande presentate alla Prefettura di Roma sono soltanto 6.264 le istanze definite (2.077 con esito negativo e 4.187 con esito positivo) e ben 11.107 quelle ancora da definire, incluse quelle dei ricorrenti.
Con diffida ex art. 3 d.lgs. 198/2009, 30 lavoratori stranieri, un datore di lavoro e le Associazioni ricorrenti hanno chiesto al Ministero di rimediare al ritardo e di concludere entro 90 giorni i procedimenti di emersione ancora pendenti.
Il 16 settembre 2022 il Vice Prefetto e il Dirigente dell’Area IV bis – Sportello Unico Immigrazione incontravano i legali degli odierni ricorrenti e con nota del 20 settembre 2022 si confermava che al 16 settembre 2022 le istanze definite erano 7.346 (5040 provvedimenti positivi e 2.306 rigetti) e per 8.603 procedimenti era stato emesso il preavviso di rigetto.
Risulterebbero ancora pendenti 10.025 domande.
Nel periodo agosto 2021-settembre 2022 le convocazioni medie per la sottoscrizione del contratto di soggiorno sono state di 1000 al mese e per oltre 7.500 pratiche si è dovuto ricorrere al soccorso istruttorio “al fine di consentire all’Ispettorato Territoriale di poter emettere il necessario parere di competenza”.
Ostacoli alla definizione delle pratiche sarebbero altresì derivati dalla adozione di un nuovo applicativo gestionale per le lavorazioni delle istanze di competenza degli Sportelli Unici Immigrazione presenti su tutto il Territorio Nazionale, messo in produzione dal Maggio 2022.
Per accelerare la definizione delle pratiche è allo studio un sistema di autoconvocazione per i casi per i quali è intervenuto il parere positivo della Questura e dell’Ispettorato del lavoro che vedrà il suo avvio ad Ottobre 2022 e verranno potenziate le unità di back office dedicate all’istruttoria.
Gli odierni ricorrenti, lavoratori individuali oltre ad un datore di lavoro, sono tuttavia ancora in attesa della definizione del loro procedimento.
La sig.ra -OMISSIS- ha ricevuto un preavviso di rigetto in data 11 maggio 2022 a cui il difensore inviava tempestivo riscontro.
Per il sig. -OMISSIS- il datore di lavoro ha inviato integrazione reddituale e dichiarazione di cumulo dei redditi con un familiare in data 10.05.2022.
Per il sig. -OMISSIS- il 16 marzo 2022 il SUI richiedeva l’integrazione reddituale e una dichiarazione di cumulo dei redditi con un familiare in quanto il reddito del sig. -OMISSIS- non è stato ritenuto sufficiente. Il 4 aprile 2022 decedeva il datore di lavoro.
Il sig. -OMISSIS- riceveva in data 27 giugno 2022 preavviso di rigetto. È subentrata la necessità di un approfondimento istruttorio atteso che il lavoratore si è allontanato dal territorio nazionale.
Per il sig. -OMISSIS- è stata emesso preavviso di rigetto per parere negativo dell’ITL. Il 5.9.2022, in sede di convocazione, lo Sportello Unico ha informato le parti della necessità di ulteriori esigenze istruttorie per verifica del reddito del datore di lavoro.
Un interesse attuale e concreto è vantato anche dalle associazioni ricorrenti trattandosi di portatrici dell’interesse diffuso alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri, in quanto tutte impegnate nella tutela della condizione dello straniero sul territorio italiano.
I ricorrenti sostengono esservi il presupposto di ammissibilità per l’azione di cui all’art.1, comma 1, d.lgs. 198/2009, rappresentata dalla violazione sistematica dei termini del procedimento, come indicati dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 3578 del 9 maggio 2022.
Lamentano la carenza di organizzazione e il malfunzionamento sia a livello centrale che locale “nonostante le risorse messe a disposizione dal legislatore”.
A livello nazionale, secondo la prospettazione attorea, su 207.000,00 domande ricevute ne sarebbero state definite poco più del 50%.
Il ritardo nella definizione dei procedimenti impedirebbe ai richiedenti di stipulare un altro contratto di lavoro, aprire un conto corrente, effettuare l’iscrizione anagrafica, lasciare il territorio italiano per far visita alle proprie famiglie.
La difesa attorea elenca poi le vicissitudini dei singoli richiedenti per effetto della mancata definizione della loro domanda di emersione.
I ricorrenti, inoltre, evidenziano che il legislatore all’art. 103 del d.l. 34/2020 ha previsto diversi e significativi stanziamenti proprio per fare fronte alla sanatoria di cui si tratta, che consentirebbero al Tribunale di condannare l’Amministrazione a concludere i procedimenti nel rispetto delle risorse strumentali, finanziarie e umane concretamente a disposizione.
In via gradata si chiede l’adozione di azioni intermedie, quali un adeguamento del sistema informatico, l’invio di Circolari che chiariscano che determinati requisiti (ad esempio: il mancato allontanamento dal territorio nazionale; l’idoneità alloggiativa; i requisiti reddituali etc.) possono essere pretesi per il buon esito del procedimento soltanto nei 180 giorni successivi alla presentazione della domanda e l’introduzione del silenzio assenso per determinati pareri endoprocedimentali.
L’amministrazione, inoltre, non avrebbe evaso la legittima richiesta dei ricorrenti di pubblicare sul sito lo stato di avanzamento delle pratiche in modo da evitare arresti nel procedimento e di conoscere i tempi medi di emissione dei pareri richiesti.
I ricorrenti concludono chiedendo in via istruttoria di ordinare al Ministero dell’interno e alla Prefettura di Roma di fornire:
1) una relazione sullo stato di avanzamento delle domande ancora pendenti, indicando il numero di procedimenti conclusi e delle convocazioni trasmesse, nonché, per quelli ancora pendenti, la fase dell’istruttoria in corso ed acquisire d’ufficio ogni elemento utile alla risoluzione del disservizio;
2) una relazione – ove ritenuta utile – sull’impiego delle risorse economiche ed umane, stanziate con la normativa in commento;
3) una relazione sul sistema informatico utilizzato per la gestione delle pratiche con indicazione delle misure adottate a seguito dei gravi disservizi di cui in narrativa.
Nel merito, accertata la lesione diretta, concreta ed attuale derivante dalla violazione dei termini del procedimento, di condannare le amministrazioni resistenti al ripristino immediato della funzione amministrativa, concludendo nel più breve tempo possibile tutti i procedimenti di emersione.
Il 19 ottobre 2022 si sono costituiti l’Ufficio Territoriale del Governo di Roma e la Questura di Roma.
Il 9 gennaio 2023 sono intervenuti ad adiuvandum -OMISSIS-, cittadini stranieri che hanno presentato, tra il giugno e l’agosto 2020, domanda di emersione senza ricevere un provvedimento definitivo.
Il 10 gennaio 2023 sono intervenuti, ad adiuvandum, l’Associazione -OMISSIS- e con separato atto i cittadini stranieri -OMISSIS-, e i datori di lavoro -OMISSIS- e -OMISSIS-.
In pari data hanno depositato atto di intervento ad adiuvandum anche -OMISSIS-.
Il 27 gennaio 2023 le amministrazioni resistenti hanno depositato una memoria con cui resistono nel merito ed eccepiscono il difetto di legittimazione attiva in capo alle associazioni.
Il 28 gennaio 2023 i ricorrenti depositano memoria con cui insistono nelle loro difese.
Alla pubblica udienza del 31 gennaio 2023, sentiti i difensori presenti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e ciò esime il Collegio dallo scrutinio delle eccezioni in rito proposte dal Ministero intimato, atteso, peraltro, che dette eccezioni riguardano solo alcuni dei ricorrenti e comunque non esimono il Tribunale dallo scrutinio del merito del ricorso.
Con l’azione proposta, ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 198/2009, i ricorrenti chiedono che l’Amministrazione definisca nel più breve tempo possibile i procedimenti pendenti in materia di emersione di cui all’art. 103 d.l. 34/2020, ponendo termine alla diffusa violazione dei termini di conclusione degli stessi ovvero al ritardo per il quale, a distanza di oltre due anni dalla presentazione delle domande di emersione, la metà dei procedimenti non risulta conclusa.
La fattispecie deve essere, preliminarmente, inquadrata nell’ambito dell’art. 1, commi 1 e 1-bis del d.lgs. n. 198/2009 ai sensi del quale “1. Al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.
1-bis. Nel giudizio di sussistenza della lesione di cui al comma 1 il giudice tiene conto delle risorse strumentali, finanziarie, e umane concretamente a disposizione delle parti intimate.”
Alla stregua delle menzionate disposizioni l’amministrazione risponde nei limiti delle risorse disponibili; e consegue che il ritardo deve ritenersi scusabile in relazione alle concrete ed effettive possibilità di governo del fenomeno che dipendono dalle scelte di finanza e di politica del personale del Parlamento in primo luogo e del governo.
Essendo l’azione di cui all’art. 1, comma 1 del d.lgs. n. 198/2009, finalizzata a “ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio”, come ha condivisibilmente evidenziato la Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 1390/2019, “si deve trattare di disfunzioni che, come tali, non siano però il frutto della ignàvia manifestata nel caso singolo — contro la quale è sempre azionabile la tutela sul silenzio di cui all’art. 31 del c.p.a. — ma dipendono da disfunzioni sistematiche dell’azione amministrativa” ovvero di “comportamenti costantemente elusivi e generalizzati del rispetto dei termini procedimentali”.
I procedimenti di cui si discute rientrano nell’ambito della sanatoria introdotta con il decreto legge del 19 maggio 2020 n. 34, convertito in legge 17 luglio 2020 n. 77, in piena pandemia e per fare fronte alla “tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio da COVID-19” e favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari nonché fornire di un permesso di sei mesi, valido solo sul territorio nazionale, coloro il cui permesso era scaduto dal 31 ottobre 2019 e che erano stati impiegati in determinati settori.
Ai fini della predetta sanatoria sono state presentate, secondo quanto riporta l’Amministrazione, 207.870 domande, un numero quasi doppio rispetto alla sanatoria del 2012, ma con una peculiarità ulteriore rispetto alla precedente sanatoria. Oltre la metà delle domande definite ai sensi dell’art. 103 del d.l. 34/2020, come meglio si specificherà nel prosieguo, sono risultate prive dei requisiti (solo nella Provincia di Roma su 17.000 domande sono stati inviati 9900 preavvisi di rigetto), mentre nella sanatoria del 2012 107.089 domande sul totale di 134.772, sono state definite positivamente.
Si tratta di una sanatoria per la quale hanno presentato domanda stranieri privi di regolare permesso di soggiorno spesso da diverso tempo e per i quali si rende necessaria una complessa verifica dei precedenti per escludere la sussistenza di requisiti ostativi, nonché una attenta disamina della documentazione attestante la loro recente permanenza sul territorio, oltre a quella relativa agli altri requisiti previsti, tra i quali la condizione familiare, di salute ed economica del richiedente l’emersione.
La spiegazione dei tempi lunghi per la definizione delle pratiche si evince già dai dati forniti dai ricorrenti, che mostrano, sul totale delle procedure definite, una altissima percentuale di richieste infondate, pari, allo stato, ad almeno il 50%, le quali hanno determinato istruttorie più lunghe, richiedendo sempre l’invio del preavviso di rigetto (a volte anche di più preavvisi) e più di una convocazione, con l’acquisizione e la valutazione di eventuali osservazioni, con un ulteriore dispendio di attività che ha danneggiato la veloce definizione delle domande complete e fondate.
Una prima criticità, addebitabile a fattori estranei alle amministrazioni intimate, è da imputarsi al rallentamento – quando non al fermo – dell’attività amministrativa a causa dei divieti e dei limiti imposti dalla normativa anti COVID 19 e rappresentati dal contingentamento delle presenze negli uffici sia del personale che dell’utenza.
A detti fermi l’Amministrazione aggiunge anche il blocco delle operazioni per oltre un mese per consentire il passaggio al nuovo sistema informatico.
Ad aggravare le istruttorie, che hanno così richiesto tempi più lunghi del previsto, l’uso non occasionale di dichiarazioni e certificazioni false o contraffatte, quando non di domande spedite all’insaputa del soggetto che appariva quale datore di lavoro.
E’ evidente che la diffusione di documentazione falsa o di dichiarazioni non veritiere ha comportato e tutt’ora comporta la necessità di plurime verifiche e più minuziose disamine delle domande e della documentazione allegata.
Nella situazione data non appare censurabile la necessità di attendere il parere dell’Ispettorato del Lavoro, peraltro previsto come obbligatorio, attesa la sua utilità ai fini della verifica della sussistenza dei requisiti per l’emersione richiesti dalla normativa.
Ai sensi del comma 15 dell’art. 103 del d.l. 34/2020, il parere del competente Ispettorato territoriale del lavoro è necessario al fine di verificare la capacità economica del datore di lavoro e la congruità delle condizioni di lavoro applicate ed è quindi un presidio indispensabile per la verifica della genuinità dei rapporti di lavoro e della sussistenza delle garanzie del lavoratore.
A fronte della pervasività del fenomeno delle false dichiarazioni e della insussistenza dei requisiti economici del datore di lavoro, non è quindi irragionevole – allo stato degli atti e fatte salve le ulteriori valutazioni organizzative in corso – la scelta discrezionale dell’Amministrazione di non fare ricorso all’art. 16 nella parte in cui prevede la facoltà di procedere senza l’acquisizione del parere.
All’applicazione della norma, peraltro, osta anche l’esclusione del silenzio assenso nei procedimenti riguardanti l’immigrazione, di cui all’art. 20, comma 4, della legge 241/90.
Le sopra descritte criticità non possono certo imputarsi all’amministrazione, essendo le stesse il frutto di un insieme di fattori, sia normativi che “sociali”, ai quali l’Amministrazione non potrebbe fare fronte neanche volendo, mediante l’esercizio del potere ad essa assegnato.
La richiesta di parte ricorrente di circolari chiarificatrici sposta inoltre il problema sul piano normativo, evidenziando nella legge una ambiguità o mancanza di chiarezza che esonererebbe l’Amministrazione da responsabilità, deponendo per l’infondatezza dell’azione proposta.
Il Consiglio di stato, con argomentazioni condivise dal Collegio (vedi sentenza citata n. 1390/2019), ha affermato che l’azione prevista dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 198/2009 è finalizzata al mantenimento dell’ordinaria efficienza delle pubbliche amministrazioni e, tra le varie ipotesi previste, concerne specificamente anche tutte le violazioni dei termini procedimentali stabiliti che provochino una lesione diretta, concreta ed attuale ad una pluralità di soggetti.
In sostanza si deve trattare di disfunzioni che, come tali, non siano però il frutto della ignàvia manifestata nel caso singolo — contro la quale è sempre azionabile la tutela sul silenzio di cui all’art. 31 del c.p.a. — ma dipendono da disfunzioni sistematiche dell’azione amministrativa.
I sopraelencati profili di criticità escludono che i ritardi siano da imputare a “disfunzioni sistematiche dell’azione amministrativa”, le quali sono escluse anche dal rilievo del numero di atti emanati dall’Ufficio competente e del numero di convocazioni, senza contare il contributo richiesto al personale degli uffici interessati per la predisposizione di relazioni dettagliate sulle singole vicende, per fare fronte alla richieste di accesso, ai ricorsi proposti avverso il silenzio come avverso i provvedimenti di rigetto delle domande.
Si tratta di numeri rilevanti che incidono sull’andamento dei procedimenti ricadendo, inevitabilmente, sullo stesso personale impiegato per la definizione dei procedimenti.
I ricorrenti, di contro, focalizzano le loro censure sul ritardo con cui le pratiche incomplete vengono decise anche a seguito di preavviso di rigetto, chiedendo maggiori spazi per intervenire nel procedimento e circolari chiarificatrici che puntano, in molti casi, ad allargare le maglie della previsione normativa, nonostante il carattere eccezionale della sanatoria e la conseguente inammissibilità di una interpretazione estensiva di una normativa in deroga alle norme ordinarie sul rilascio del titolo di soggiorno.
La lamentata violazione del termine di 180 giorni, non espressamente contemplato dalla normativa, ma individuato da alcune pronunce del Consiglio di Stato (sentenze nn. 3578/2022 e 3645/2022), dovrebbe, ad avviso del Collegio, tenere conto della completezza della domanda, della sua correttezza e della presentazione dei documenti richiesti ed in ogni caso non può prescindere dalla complessità della procedura, resa ancor più gravosa dalle situazioni determinate, non solo dal numero di domande, ma altresì dalla quantità e qualità dei dati che deve contenere (vedi artt. 5 e 6 del DM 27 maggio 2020) e dei documenti da presentarsi allo Sportello Unico, da analizzare minuziosamente anche al fine di verificarne l’autenticità.
Può infatti legittimamente porsi in dubbio che, a fronte di una domanda incompleta o contenente dati non veritieri in merito a elementi essenziali, quali l’identità ed effettività del richiedente l’emersione, il termine a quo del procedimento possa individuarsi nel giorno della sua presentazione o non invece al momento della sua regolarizzazione, fermo restando l’obbligo della p.a. di concludere il procedimento con un provvedimento espresso.
In tal senso è significativo che la sanatoria di cui si tratta abbia rivelato una significativa quantità di disconoscimenti con riguardo alle domande ed alla documentazione presentata: circostanza che ha appesantito il lavoro dell’Ufficio per fatti non certo imputabili a disfunzioni dell’apparato amministrativo e che si è inevitabilmente riverberata in un aggravio a danno di coloro che avevano presentato regolari e fondate domande di emersione, oltre a richiedere attività aggiuntiva agli operatori ivi compresa la redazione di informative di reato.
Lo stesso Consiglio di Stato nella sentenza n. 3578/2022 della Terza Sezione ha evidenziato come “la disciplina dei procedimenti concernenti l’immigrazione e la cittadinanza ‘viaggi su binari normativi’ del tutto svincolati da quelli previsti dalla legge n. 241 del 1990 e risponda a logiche ed esigenze organizzative (correlate alla mole e alla complessità dei procedimenti implicati) evidentemente non conciliabili con l’ordinario sistema dei termini”.
E da ciò ha desunto che un implicito termine residuale applicabile nella materia degli stranieri fosse quello di 180 giorni, atteso che il comma 4 dell’art. 2 della legge 241/90 prevede tra i procedimenti i quali sono esclusi da detto limite (180 giorni) proprio i procedimenti riguardanti l’immigrazione.
Può desumersene che la fissazione del termine operata dal giudice d’appello porti con sé la consapevolezza che “l’ordinaria durata possa essere più lunga, da un lato per la loro particolare e intrinseca complessità e dall’altro per il pressoché certo altissimo numero dei procedimenti amministrativi, attivati con le istanze degli interessati”.
Si ricorda inoltre che la deroga al sistema dei termini che si ricava dall’art. 2 legge 241/90 per i procedimenti in materia di immigrazione non fissa un limite temporale e che “nessun vincolo motivazionale o giustificativo è previsto per i procedimenti riguardanti gli stranieri, nonostante per essi si preveda il superamento anche del tetto massimo dei 180 giorni”.
Si rinvengono pertanto nei passaggi della sentenza del giudice d’appello le ragioni che possono giustificare l’impiego di un tempo più lungo per la definizione dei procedimenti e che se, da un lato, sconsigliano la mancanza di un termine, per offrire un rimedio all’occasionale inerzia colpevole dell’amministrazione, dall’altro, contemplano la possibilità che il termine residuale di 180 giorni possa di fatto rivelarsi insufficiente.
A fronte di quanto qui osservato, l’intimata Amministrazione non risulta avere adottato comportamenti elusivi, né risulta avere svolto le procedure in modo disfunzionale, avendo invece evitato facili archiviazioni o rigetti delle domande anche a fronte di domande gravemente incomplete o prive di idonea documentazione, informando la propria attività alla garanzia dei richiedenti il titolo di soggiorno con il ricorso reiterato al soccorso istruttorio per consentire all’interessato di rimediare anche rinnovando il preavviso o la convocazione.
I numeri del solo Sportello Unico di Roma che ha visto, dall’agosto 2021 al dicembre 2022, fissati 17.000 appuntamenti ed emessi 9.063 provvedimenti di definizione, 9.887 preavvisi di rigetto, 2500 risposte di accesso agli atti, senza considerare gli atti di altri procedimenti che gravano sul suddetto Ufficio, anche a fronte della estensione dei casi di conversione dei permessi di soggiorno e dei relativi nulla osta e di un significativo numero di domande relative ai “decreti flussi”, non appaiono denotare inerzia o mal funzionamenti imputabili a modalità errate o disfunzioni sistematiche rientranti nei poteri di organizzazione dell’amministrazione intimata.
E nonostante ciò, il Ministero si è adoperato per assumere lavoratori interinali dopo la scadenza dei contratti previamente in essere ed ha adottato l’accorgimento dell’autoconvocazione per coloro che avessero avuto il doppio parere positivo.
Il mancato decollo di quest’ultimo rimedio ancora una volta è imputabile a coloro che si sono presentati pur in mancanza del requisito del doppio parere positivo, persino con lettere di convocazione contraffatte e creando ulteriori perdite di tempo ed “intasando” gli uffici con pratiche non pronte per essere definite.
Per completezza, si rileva che il Ministero allo stato:
– ha definito le procedure di 24 degli odierni ricorrenti individuali;
– ha convocato 7 ricorrenti per il 7 febbraio 2023;
– è in attesa della scadenza termini indicati nel preavviso di rigetto inoltrato a seguito della convocazione avvenuta il 23 gennaio 2023, per ulteriori sette ricorrenti;
– è in attesa della valutazione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro sulle integrazioni documentali pervenute dai restanti 7 ricorrenti.
Per tutto quanto osservato il ricorso va respinto, poiché infondato.
Le spese di lite, attesa la novità delle questioni proposte, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2023 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Arzillo, Presidente
Anna Maria Verlengia, Consigliere, Estensore
Raffaello Scarpato, Referendario
